Intervista del 18 Giugno 2009 a Fabio Geda, autore torinese, educatore, giornalista, nelle librerie dal 20 Aprile 2010 con il nuovo romanzo Nel mare ci sono i coccodrilli (FELTRINELLI).
Torino – In quel solito cassetto c’è molto di più di un manoscritto: c’è un sogno. E solo chi scrive sa cosa vuol dire.
Il viaggio nel mondo dell’editoria, del giornalismo e delle possibilità per gli emergenti, si apre all’intervista: per capire quali vie percorrere per trovare una buona storia da raccontare, scriverla bene, e trovare qualcuno che investa su di noi.
Incontro Fabio Geda, torinese, classe 1972, educatore ancora attivo e attento, nella colorata biblioteca di Pianezza (TO), ulteriormente animata dalla serata culturale itinerante “Le mille e una cultura“, approdata nelle sue sale giovedi 11 Giugno (2010, n.d.r.).
Presenta il libro “Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani” (2007), il romanzo d’ esordio da poco ristampato dalla Feltrinelli e, sebbene la sua seconda fatica (”L’esatta sequenza dei gesti“ , Premio Grinzane Cavour) sia già disponibile in libreria, gli occhi di tutti sono puntati verso le vicende del giovane protagonista, Emil, straniero in terra straniera, solo e in cerca del padre, una storia come tante in questo oceano di diversità che è diventata l’Italia negli ultimi decenni.
La reading del romanzo, con il sottofondo musicale dei Sans Papiers, gruppo torinese dalle sonorità etniche ed eleganti, scorre fluida: e mentre ascolto la sua voce mi viene voglia di chiedere a questo ragazzo semplice, dalla battuta pronta ma un po’ intimidito dalla folla, qual è la sua, di storia.
Un po’ dal vivo, un po’ grazie alla tecnologia, Fabio Geda ha risposto alle mie domande.
- Prima dell’esordio letterario del 2007, oltre a lavorare come educatore, scrivevi a livelli professionali (come giornalista ad esempio) oppure sei arrivato direttamente in libreria?
Fabio Geda: No, io non lavoravo nell’editoria, non avevo contatti e non scrivevo sui giornali. facevo l’educatore e basta. Però scrivevo nel silenzio della mia cameretta, storie su storie mai pubblicate, mai nemmeno spedite, perchè io stesso mi rendevo conto delle loro mancanze. Il mio primo romanzo pubblicato è stato anche il primo che ho spedito.
- Le difficoltà degli esordienti oggi sono la mancanza di buoni contatti e problemi economici: i meccanismi delle case editrici (quando il libro è ritenuto valido, anche dopo molti no) partono solitamente dall’acquisto iniziale e personale di molte copie del libro, e non tutti possono permettersi una cosa del genere. A te come è andata? Hai ricevuto molti no prima del successo?
F.G. : Rispetto a quello che dici sulle case editrici, io ti dico che no, non è affatto vero. Solo alcune case editrici chiedono l’acquisto di copie e a quelle io dico: non rivolgetevi. Mandate il manoscritto solo a case editrici che sono disposte a investire su di voi. Come si fa a scoprire quali sono? Semplice, quelle che sono in libreria. Le cosiddette case editrici a pagamento, di solito, non promuovono e non distribuiscono, le altre sì.
- Il tuo libro, “Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani“, parla di un ragazzino straniero come ce ne sono tanti in Italia, che spera di ritrovare suo padre, tra mille avventure e diverse storie intrecciate alla sua. Anche ne “L’esatta sequenza dei gesti” parli di ragazzi difficili: la tua esperienza di vita è, ovviamente, palpabile in quella lettararia.
F.G. : Colpito e affondato. Un buon consiglio per chi comincia a scrivere è: scrivete di quello che sapete. Che non vuol dire parlare di se stessi, ma usare le informazioni sul mondo di cui siamo a conoscenza per scrivere storie. Fate i panettieri? Scrivete una magnifica storia ambientata in una panetteria. Parlate di amore, di morte, di amicizia, delle solite cose, ma dentro una panetteria. Questo non basta a fare un libro, ma è una buona partenza.
- Come mi hai detto, la scuola Holden, con la quale collabori, ti ha dato la possibilità di riscoprirti libero di scrivere e di cercare una storia tra tante, di individuarla. Ho iniziato a leggere il tuo primo libro, e mi sembra che della scuola Holden ci sia anche lo stile, una certa atmosfera, per così dire: quanto aiuta essere “crescere” lettarariamente in un certo ambiente rispetto poi al risultato finale?
F.G. : Prendi me, Cavina, Longo, Poddi, Grossi, Lazzarotto, Giordano, Vasta, Varvello, Amato e altri di cui certamente mi sto scordando. Siamo tutti passati dalla Holden, chi più chi meno, ma siamo molto diversi gli uni dagli altri, come scrittura, come contenuti, come respiro. La Holden è anzitutto un luogo di confronto, e di letture. Chi scrive, a meno che non sia un licantropo, ha voglia e bisogno di confrontarsi con altri, di sentire le loro opinioni, di farsi le ossa, di andare a bottega ascoltando le esperienze di chi ha già maturato alcune idee. A maggior ragione un esordiente, che alla Holden può farlo.
- Un’ultimissima domanda sul giornalismo: tu stesso hai un blog in cui racconti di te, e, leggo dal sottotitolo, di “infanzia, culture e narrazioni”. Cosa ne pensi dell’attuale crisi del giornalismo della carta stampata mondiale, e della migrazione di lettori e giornalisti professionisti sul web, con blog e siti specialistici?
F.G. : Credo che i giornali ci saranno sempre, e credo che ormai sulla rete ci sia persino troppa informazione. Una redazione che faccia da filtro serve. Quello che credo dovranno fare, i grandi giornali, è passare sulla rete e affrontare i blog sul loro stesso terreno (cosa che già un po’ viene fatta). Questo se si parla di informazione “alta”. Se invece stiamo discutendo del valore del blog personale, della singola persona che condivide la propria esperienza di vita, be’, mi sembra uno spazio di cui si sentiva la mancanza, che ora c’è e che credo rimarrà.
Questo è Fabio Geda, un educatore, ora scrittore, sempre dentro alle storie che racconta. Un ragazzo come tanti, con un libro nel solito cassetto che non è solo un manoscritto, ma un sogno, e che per lui è diventato realtà.
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