Non c’è incipit che tenga. Per capire se un libro è davvero un bel libro, uno di quelli da leggere d’un fiato, basta leggere pagina 99 prima ancora del primo capitolo: solo da lì è possibile capire se quel romanzo fa davvero per noi. Da dove arriva questa teoria? Ovviamente dal web.
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“Chiamatemi Ismaele“: comincia così il romanzo di Melville Moby Dick, uno di quei libri usati talmente tanto a scopo didattico che si fa fatica ad amarli davvero. E proprio questo incipit, un po’ di settimane fa, si è aggiudicato il primo posto nella classifica dell’American Book Review, che ha decretato i cento inizi più belli della storia delle letteratura.
Ti insegnano che la prima frase è tutto: lo sanno bene i giornalisti che tra titolo e attacco si giocano tutto il pezzo. E lo sanno ancora meglio gli scrittori, che sin dalle prime pagine puntano a interessare quel lettore tanto curioso quanto facilmente distraibile. E allora, per un’associazione illustre che garantisce il valore dell’incipit (tra gli altri romanzi, in classifica, anche Orgoglio e pregiudizio, Cent’anni di solitudine e Italo Calvino con l’affascinante Se una notte d’inverno un viaggiatore), un blog decreta la totale inutilità delle prime pagine di un romanzo, deputando tutto il merito a pagina novantanove.
Il test di pagina 99 è protagonista del blog omonimo, che sta riscuotendo talmente tanto successo da essere frequentato da penne illustri, curiose di valutare da una sola pagina il contenuto di tutto un libro. Perché proprio quella pagina? A quel punto la storia è avviata, il plot è in divenire, i personaggi disegnati: secondo gli autori del blog, quella pagina sarebbe rappresentativa di tutto il libro. O meglio, come sottotitolo del blog vuole: “Open the book to page ninety-nine and read, and the quality of the whole will be revealed to you”.
L’unico modo per scoprire se una cosa del genere è possibile – decidere se un libro è bello in base a una pagina sola, che assurdità! – c’è bisogno della prova pratica. Può davvero una pagina raccontare un intero romanzo?
Nel caso del libro La zia Julia e lo scribacchino, intenso e ironico romanzo di Mario Vergas Llosa, no. La lettura è in work-in-progress ma ti accorgi sin da subito che è uno di quei romanzi che non può in alcun modo essere inquadrato. La pagina in questione è lo spezzone di uno dei racconti inseriti nella storia madre, che, ovviamente, vive nel qui e nell’ora della lettura e finisce dopo un paio di pagine.
L’incipit, invece, quello sì che ti immerge nel mondo di questo romanzo:
“In quel tempo remoto, io ero molto giovane e vivevo con i miei nonni in una villa dai muri bianchi di calle Ocharàan. Studiavo all’università di San Marcos, legge, mi sembra, rassegnato a guadagnarmi più tardi la vita da libero professionista, anche se, in fondo, mi sarebbe piaciuto di più diventare uno scrittore“.
Ed ora, lascio a voi lettori e ai vostri libri il confronto tra incipit e pagina novantanove: decretiamo un vincitore?
Ale says
Io mi trovo molto bene col metodo della pagina 99, mi aiuta sempre a capire i libro.
Molti incipit sono troppo vaghi per fare lo stesso effetto.
In ogni caso, la teoria della pagina 99 viene da una citazione di Ford Madox Ford «Apri il libro a pagina 99 e leggi: ti verrà svelata la qualità di tutto il testo».