Mia madre è in trasferta. La ghiotta occasione accademica che mi ha vista protagonista nei giorni scorsi (una laurea definitiva) l’ha portata a prendere un treno notte con consorte e figlio quattrenne ed espatriare fuori dai confini calabri, una cosa che succede con la stessa frequenza del Giubileo. Per mia madre le desolate terre del Nord sono posti dove non cresce l’erba, dove non si mangiano cose genuine, dove neanche il pane sazia. Nella sua immensa saggezza che comprende di solito tutto lo scibile umano – dal giardinaggio all’astrofisica – ha infatti avuto modo di soppesare dei panini morbidi come quelli della nonna di Heidi arrivando dunque all’unica conclusione possibile: “Questi panini morbidi sono troppo leggeri. Il pane calabrese ha la crosta, dunque è più genuino, saporito e sano“. Mia madre è campanilista ai massimi livelli e riesce a confrontare ogni cosa con quelle a cui è abituata, e ciò a cui è abituata vince di solito a mani basse.
Domenica è giunta nelle fredde terre del Nord, già scettica che potesse esserci stato un clima quanto mai primaverile appena due giorni prima, perché qui il sole non sorge mai, oltre i meno sette gradi non si va, c’è sempre nebbia e ricordiamo che la gente muore di fame perché il pane non sazia. Tutta la famiglia ospite a casa mia. Mamma è una che la casa deve averla sempre pulita, “perché se viene qualcuno all’improvviso?” e quindi casa mia non potrebbe mai rientrare nei suoi standard.
Infatti non vi rientra.
Pensate, con empatico trasporto, a mia madre, il mio borbottante padre e un iperattivo fratello di 4 anni in 30 mq, aggiungete tanto disordine da sistemizzare e avrete come risultato, nell’ordine:
- i barattolini delle spezie opportunamente sistemati nel loco individuato da mia madre come perfetto per i barattolini delle spezie
- bicchieri che spariscono dall’apposito armadietto, inseriti in un altro più consono alla loro natura
- piatti che miracolosamente si allineano in fila indiana dal più piccolo al più grande. Quelli brutti e da me amati spariscono nel nulla
- il nirvana raggiunto dalle sedicimillanta riviste accumulate in due anni di vita al Nord rotto dall’insindacabile giudizio della genitrice che ritiene oltremodo poco ottimizzante l’abitudine di non gettarle nell’istante immediatamente successivo alla lettura dell’ultima pagina
Un altro annoso problema che non fa prendere sonno alla madre in trasferta è l’aereo. Temibile marchingegno di recente brevetto, accoglierà la sacra famiglia per il viaggio di ritorno in terra natìa, lì dove scorre latte e miele. Non essendo mai salita su un velivolo in vita sua, la madre in trasferta affronta digrignando i denti l’avventura, masticando leggende metropolitane degne della migliore puntata di Mistero. Nell’ordine:
- “Sull’aereo mi hanno detto che non si può portare nulla, nè da mangiare nè da bere e che se ti scappa la pipì devi comunque stare immobile al tuo posto“
- “Tua sorella non potrebbe mai prendere l’aereo, è asmatica. Il cambiamento di pressione potrebbe generarle una crisi
Sì, perché notoriamente l’aereo è un open-space, e si viaggia col vento che ti scompiglia i capelli.
Mia madre, se tu le dici che qui i dolci li fanno e ce ne sono anche di buoni, ti piazza sotto il naso il suo campionario di ricette calabre e comincia ad elencarne le proprietà. I dolci con il miele di giù sono senz’altro più saporiti perché il miele è particolare, lo zucchero più raffinato, la farina più zerozero. La pasta al forno più succulenta (ma qui mi ha ragione, la genitrice) perché i suoi mille strati di allegria la rendono più sostanziosa, mentre qui a malapena infilano tra una sfoglia e l’altra due rachitiche bollicine di carne. Questa donna che ha sempre una risposta pronta e deve sempre dire la sua sostiene da anni che le coltivazioni del Piemonte, sempre che l’arida terra riesca a generarne alcuna, non possono competere in bellezza, genuinità e rigogliosità quelle calabresi, terra dal sole perenne.
E se mai le nomini qualcosa che giù non sappiamo manco cos’è, simbolo evidente di una supremazia culinaria e agricola senza confronto calabro, allora lei che fa? Arriccia il naso, e tenendo fede allo scibile umano che soggiorna in lei, si mette a sostenere che non sarà mai buono come quell’altra cosa che in Calabria c’è e qui no.
Di solito, per sfinimento, queste schermaglie le vince sempre lei.
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