Roberto (Riccardo Scamarcio) è un giovane avvocato, promesso sposo felice di Sara (Valeria Solarino): entrambi pensano al matrimonio un po’ spaesati all’idea della giovinezza che passa e va. Inviato per questioni lavorative in un ridente paesello toscano, Roberto perderà la testa e la ragione per l’unica attrazione del posto, Micol (Laura Chiatti), che fa girare la testa a tutti, tranne che a suo marito, sempre in giro per lavoro. La passione tra i due è solo lo stimolo per mettere Roberto a confronto con il mondo dei grandi – razionale, intimo, fatto di complicità a due – e quello dei ragazzi – sesso in spiaggia al chiaro di luna, irrazionalità amorosa, passione sfrenata. Nello stesso palazzo di Sara vive Eliana/Gaia (Donatella Finocchiaro), procace signora bipolare, un po’ ninfomane e molto squilibrata che si avventa a pesce sull’anchorman Fabio (Carlo Verdone), sposato, borghesuccio felice di essere un vippettino della tv che conta. Un po’ di sesso goliardico e la donna diventa una stalker, da cui Fabio deve sfuggire. Ed è ancora nello stesso palazzo che vive Adrian (Robert de Niro), prof. americano in pensione a Roma, amico del portiere dello stabile (Michele Placido), che riscopre grazie alla figlia di lui (Monica Bellucci) l’amore che va oltre l’età canonica.
Manuale d’amore 3 di Giovanni Veronesi rimanda al primo e al secondo episodio per struttura interna, link tra i personaggi, motivazioni narrative (raccontare l’amore a seconda della fasi che attraversa – la giovinezza, l’età adulta e quella matura, la rottura) e interpreti (ritornano Scamarcio -Bellucci – Verdone), regalando pochissimi spunti nuovi sul quale ricamare una trama convincente. E adesso vi dico anche perché. In modo un po’ bucolico.
- Il primo episodio: l’immotivata Chiatti e il suo finto mal di vivere
Chiatti e Scamarcio sono una coppia inossidabile sul set, da Compagni di scuola (anni e anni fa, niente di memorabile) a gli smoccettamenti di Ho voglia di te. A far sesso davanti alla telecamera sono bravissimi e così a complicarsi la vita con riferimenti troppo alti per i loro personaggi e le loro capacità interpretative. Ancora una volta lo stereotipo la fa da padrone: Scamarcio arriva nel solito paesello ameno in cui tutti si amano, si conoscono, si divertono al baretto tra una briscola e il canto sensuale dell’unica under 30 del borgo, la Chiatti, appunto, che vive da diva le sue giornate tutte uguali, griffatissima nelle sue immotivate mise che riserva alla sagra di paese (e che invece andrebbero benissimo per un vernissage). Dialoghi ai limiti del sopportabile, melassa a non finire, Scamarcio che se la cava solo se gli è permesso fare delle faccette, degli ammiccamenti, delle smorfie. La Chiatti non sa fare neanche quello, ma come mostra le tette lei..I ritmi e le scene ricorrenti delle commedie romantiche si sprecano, inondando lo spettatore di scempiaggini. Se arrivate al cinema con un po’ di sonno arretrato, per i primi 20 minuti dormite pure.
- Il secondo episodio: Verdone l’ipocondriaco
Risvegliatevi giusto in tempo per beccarvi un Carlo Verdone come non l’avete mai visto ( il mio tono è ironico, n.d.r.), ipocondriaco (novità assoluta dei suoi personaggi), un po’ borioso (ma pensa!), un po’ borghesuccio (naaa!), tendenzialmente vile e meschino, italianissimo giornalista volto del Tg serale, che si fa infinocchiare dalla Finocchiaro, che matta lo è per finta, ma bella, strizzata in abitini striminziti e da pin-up, lo è davvero. Gags che si concludono con un ascensore che si apre a bomba sulla fronte di Verdone. Perché il bernoccolo fa sempre ridere.
- Il terzo episodio: de Niro salva tutti, tranne la Bellucci
Si è parlato molto della partecipazione di de Niro a questo film. Lo ha fatto per soldi? Per amicizia? Per passatempo? Ridendo e scherzando (poco, in effetti) de Niro è il personaggio più riuscito. Cucito addosso a lui, Adrian è galantuomo, dinamico e romantico, e riscopre l’amore dopo tanti anni, ritrova il gusto del sesso, della famiglia, del nido. La Bellucci, una gnoccolona, eh, niente da dire, è troppo boccolosa e troppo antonellaclerici de paris, troppo femme fatale a tutti i costi (stende i panni col tacco 12, e Spora dell’omonimo blog sarebbe felice, ma noi donne che facciamo le lavatrici e stendiamo in pigiama anche no), troppo macchietta (la scena finale in cui, sperduta in un’isola della Sicilia, intreccia dei peperoncini è straniante) per risultare anche un cicinìn simpatica.
Cosa resta alla fine? Una sensazione: che il tre non sempre è il numero perfetto. Per dare un senso a questo film, bastava fermarsi al capitolo due.
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Grazie a Ilaria per il sostegno psicologico e gli innumerevoli spunti (che le ho furbescamente scroccato).
ps: ho meschinamente cercato un’immagine della Bellucci in cui non fosse figa. La volevo proprio in un momento in cui non fosse al top. Ho usato una keyword terribile.
Ma non ce ne sono. Non ne esistono. E’ sempre schifosamente e insopportabilmente figa.
E io sono una persona cattiva.
akio says
io mi sono fermato al numero 1 e a quanto pare non ho sbagliato