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Storie calabre presenta: pic-nic al Sud, guida alla sopravvivenza

27 maggio 2011 | Scritto da Giovanna Gallo | 2 commenti

E’ primavera. Chiudersi in quattro mura è una violenza e allora vai di pic-nic. Grigliate, prati in fiore, vita all’aria aperta, amici, fumo, salsicce, montagne&campagne, tutto è permesso. Ma c’è una cosa che dovete sapere: i pic-nic non sono uguali dovunque. C’è un’unica costante: si mangia. Si mangia moltissimo e ci si diverte, magari si prende un po’ di sole, di quello che ti rimane il segno della maglietta per un mese, e poi quando vuoi abbronzarti sul serio, ti spalmi di olio sotto il sole di Palm Beach e non succede niente.

I pic-nic non sono tutti uguali. Per questo, dopo la guida alla sopravvivenza ai pranzi e alle cene natalizi, e agli aperitivi made in Calabria, oggi, proprio mentre gli effluvi dell’estate accendono gli ormoni, voglio guidarvi all’interno di quell’esperienza psichedelica che è il pic-nic in Calabria. Per sfatare miti e leggende che Franco Neri ha inculcato così bene nella testa di tutti noi.

Si mangia! Carne alla tua tavola, piemontesino bello

Anche tu, piemontesino amabile, mangi molto durante le scampagnate. Mangi kg e kg di carne di ogni tipo – maiali, vitelli, cavalli, polli – e ti diverti a creare suspance con la carbonella, a inventare nuovi giochi col forchettone, e grigli, grigli, grigli che è una bellezza. Alla tavola del pic-nic del nord ci sarà tanta di quella carne da far piangere il cuore di felicità. Spunteranno qua e là ciuffetti di verdurine grigliate, per accompagnare degnamente il piatto portante. Perché ricordatevi: un piemontesino non può prescindere dall’accoppiata secondo+contorno, e contravvenire a questa regola significherebbe venire meno alla sua natura. Sulla tavola del pic-nic yankee solo carne. Tanta carne, certo. E le verdurine grigliate.

Si mangia! Qualunque cosa sulla tua tavola, calabrisella mia

Un pic-nic calabro innanzitutto è variegato. Nel senso che ci sarà sempre più di una pietanza sulla tavola di legno della location campagnola o montana scelta per la scampagnata. Nell’ordine:

ANTIPASTI

  • torte rustiche
  • torte dolci
  • olive di ogni genere e grado
  • melanzane sott’olio
  • salami
  • pane rigorosamente casereccio, spesso 3 km e lungo come l’Autostrada del sole

Continuerei con le altre sezioni del pranzo, se sapessi di metterci poco. A completare il quadro già vivido di varietà e succulenza, ovviamente la carne. Come sopra per il piemontesino, ma assolutamente inutile, viste le quantità industriali di cibo extra, che alla carne gli fanno un baffo. La regola d’oro è: il salame (e le olive e tutte quelle cose piccoline lì) è uno sciacquabocca. Nel senso che a fine pasto torneranno prepotenti in tavola per chiudere in bellezza.

Ore 13: si mangia, piemontesino bello

Nel senso che nonostante il fuoco sia acceso dal mattino, prima che il piemontesino abbia trovato la giusta intensità delle braci passano ore. E si finisce col mangiare allo scoccare dell’ora di pranzo, non un minuto più, non uno dopo.

Ore 9: se si è giunti a destinazione, si comincia a spiluccare, calabrisella mia

A qualsiasi ora si arrivi- di solito presto (“Per prendere il posto migliore“, dice spesso il papà/nonno/zio esperto di luoghi di scampagnate) – si parte. Col dolce o col salato, non importa. La cosa fondamentale è che siano cose piccole e che rimbalzino con facilità in bocca, accompagnate da birra/vino rigorosamente fatto in casa. I bambini coca-cola.

Si salvi chi può!

Non importa dove si trovi: se nella tundra più sperduta, nella spiaggia più assolata, nella campagna del Wyoming, perché il calabrese, quando si sposta, si porta dietro non solo gli abitanti della casa (vige la regola che nessuno debba mancare, dal più piccolo al più grande) ma proprio la casa stessa. Le abitudini, gli usi, i costumi e le tradizioni, tutto. Per cui, nonostante si trovi a 3000 mila metri d’altezza (il calabrese medio ha raggiunto la location intorno alle 6 del mattino, sempre per predere il posto migliore vicino al barbecue e con il tavolo più lungo, ndr), nonostante non abbia una cucina da campo dietro (è tutto già pronto nelle teglie, è solo da scaldare), nonostante non abbia un letto su cui sdraiarsi per l’abbiocco post-pranzo, lui lo troverà. Avrà asciugamani da stendere sui prati o sulle panche, tende che si richiudono come spazzolini da aprire al momento opportuno, un bidet portatile che può sempre tornare utile e farà i suoi comodi, proprio come se si trovasse a casa sua.

Perché il calabrese, quando si sposta, colonizza. Guardate Torino.

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Categoria: Lifestyle, Storie calabre
Tag: calabria, cibo calabrese, mangiare in calabria, picnic in calabria, racconti divertenti, racconti divertenti calabria, Storie calabre

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  1. Estate in Calabria: come sopravvivere ai pranzi | Forse ho sbagliato tutto - Il blog di Giovanna Gallo ha detto:
    2 settembre 2011 alle 10:31

    […] in giardino e invita fidanzati e amici delle figlie. La carne, come già raccontato nel post Sopravvivere a un pic-nic calabro, è solo un mero contorno di quello che ti aspetta: bruschette, polpette, torte salate. Solita […]

    Rispondi
  2. Pasquetta in Calabria: quando il Nord incontra il Sud | Giovanna Gallo ha detto:
    9 aprile 2013 alle 15:08

    […] di un calabrese in trasferta per un pic-nic (di cui abbiamo esplorato le profondità recondite qui), ma non che riesca a mangiare se non ha davanti la perfetta ricostruzione della tavola di […]

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