Cosa succede quando una madre calabra si mette in testa di spedire un pacco dalla Calabria alla figlia che vive al Nord, colmo di prodotti alimentari? Scopritelo in questo articolo.
Innanzitutto, le Poste Italiane non bastano. Per spedire un pacco calabro da Sud a Nord ci vogliono dei corrieri specifici, che non ne sballonzolino il contenuto, che portino a destinazione la merce senza fare domande e possibilmente a un prezzo onesto, nonostante i chili. E soprattutto, che siano disposti a prendere un carico mastodontico.
Un pacco calabro di solito contiene cibo, che serve a rifornire la figlia inetta in cucina: la povera disgraziata – ricordiamo – ha ben pensato di trasferirsi a Torino, dove non solo non esiste nessun tipo di agricoltura, ma fa anche un freddo porco, la gente è triste e il mondo è grigio. La tavola del Nord è vuota e grama, la fantasia in cucina pari a zero, le materie prime inesistenti, le eccellenze gastronomiche un pallido riflesso di quelle del Sud.
Il pacco viene quindi pensato per sfamare non solo la figlia inetta ed evidentemente a digiuno da mesi, ma anche tutti i malcapitati che la circondano: parenti, fidanzati, parenti dei fidanzati, amici. Quando un calabro fa un dono, fa in modo che basti per 15- 20 persone, in modo tale da non offendere nessuno sfamare tutti.
Come viene ideato un pacco calabro? Innanzitutto, la figlia inetta deve dare il suo consenso e un indirizzo valido per la ricezione della merce. La figlia in questione può infatti rifiutarsi di accettare il pacco adducendo le seguenti scuse:
“Mamma, non so che farmene di tutta questa roba. Siamo in due, non in trenta!”
“Mamma, evita di spendere mille euro in cibo, piuttosto mandameli cash”
“Mamma, ti prego, non è che qui non mangiamo: la frutta c’è anche a Torino”
ma nessuna sarà sufficiente a scalfire le convinzioni della mamma calabra.
Estorto l’indirizzo valido con subdoli mezzucci, la mamma e il padre calabro (che in questo caso ha un ruolo attivo – deve trasportare il pacco dal corriere) cominciano a comprare roba sana e genuina da inviare al parentado che abita le fredde terre del Nord.
Dai prodotti tipici – ‘nduja, formaggi, salami – alle arance, i mandarini e i limoni del giardino, fino a un numero sconsiderato di barattoli di conserve, olive, melanzane sott’olio. Il tutto sarà diligentemente protetto da strati e strati di carta di giornale e infilato nel pacco, che a questo punto avrà già un peso specifico che oscilla tra i 25-30 kg.
Aggiunti altri generi di prima necessità – vogliamo mica fare senza l’olio d’oliva spremuto a mano dal nonno? – ecco che giungiamo a un peso specifico di kg 36.
Il pacco comincia così il suo lungo viaggio verso le terre del Nord, dove, ricordiamo, ogni volta in cui un piccolo stelo verde spunta nella neve si fa una festa, e raggiunge la figlia inetta che a quel punto comincerà la distribuzione e la degustazione.
Essendo questo un racconto di vita vera epotendo documentare quanto detto (con la foto sopra), posso comunque ammettere che, dopo la ricezione di un pacco calabro si sopravvive, se, e solo se si condivide almeno al 70% il contenuto con parenti e amici.
Un altra mossa geniale per sopravvivere è accettare il pacco: il rifiuto infatti può costare l’ira imperitura dei genitori calabri, l’onta dell’ingratitudine e in alcuni casi anche la morte.
Linda says
Fantastica come sempre!
Storie di vita vissuta e condivisa…mi ritrovo in tutto; anche nelle giustificazioni addotte per dissuadere la spedizione 😉
Un abbraccio stella
Linda
Riccardo says
Hai ragione.
Nel mio caso spesso si aggiungono tonnellate di detersivi (che si trovano anche qui) e di carta igienica (che nella capitale notoriamente ti può mandare fallito)
Angel says
Mi dispiace dirtelo così, ma questa mentalità si espande a tutto il sud. Il cibo è la cosa più importante. Mia nonna vive con me a Genova ma questo non gli impedisce di prepararmi pranzi luculliani tutti i giorni. La colpa è anche mia, devo ammeterlo, perché mi piace mangiare.
Originariamente mia nonna è della Basilicata. Come la mia zia che abita a Pistoia e che ogni volta che ci andiamo ci prepara il pranzo: 45 portate minime. Cerchiamo infatti di andarla a trovare solo due volte l’anno, di più sarebbe letale.
Ma certe cattive abitudini ce l’ho anche io, il perfetto ritratto della Genovese che di genovese c’ha poco (metà lucana, metà campana di origine controllata), perché quando si va al sud in vacanza, poi si ritorna con una macchina carica di roba da mangiare: la salsiccia, il caciocavallo, il pane, l’olio, le orecchiette, i sottoli…
e soprattutto le salsiccie sott’olio che fa mio zio.
Siamo in un villaggio globale. Adoro il sushi. Ma io sarei strafelice mi mandassero un pacco dono del genere!
Veru says
La madre romana spedisce i pacchi fino in Irlanda e dentro ci infila prodotti di ogni tipo dimenticandosi che a)la figlia mangia come un topo, b)la figlia è celiaca, c)il trasporto, anche se si compra la spedizione super-rapida, ci impiega almeno 4-5 giorni se va bene e la frutta (che si trova anche qua!) va a male!
Ehhh…
Francesca says
Condivido, perchè avendo il fidanzato (futuro marito) calabrese sono stata coinvolta da queste leccornie che c’arrivano con i pacchi. E io sono la prima ad amare la cucina calabrese!
Barbara says
Io non ho una madre calabra, la mia è milanese ma da quando è in pensione si è trasformata in cuoca. Fosse almeno brava. E non accetta critiche ovviamente. Mio padre lavora vicino a dove abito e un giorno si e uno no fa da corriere per chili di pane (simile a blocco di cemento), grissini (utilizzabili per suonare la grancassa), torte dolci e salate di 40cm di diametro. Calcola che siamo in due qui. Ti capisco benissimo quindi 🙂
Un torinese says
Visto che Torino fa così schifo, la figlia inetta in cucina può sempre tornare in Calabria.