Per un sacco di tempo, quando avevo 8 o 9 anni, ho avuto paura della fine del mondo. Avevo visto un filmato su Nostradamus che annunciava una catastrofe di proporzioni mondiali che mi ha fatto vivere per almeno un anno con l’angoscia dell’attesa. Di notte somatizzavo il terrore sognando disastri, sogni talmente vividi che ricordo ancora tutto nitidamente: il sole che esplode, il terremoto, il nubifragio. Un disastro a notte, ogni notte, per più di un anno. Di giorno, non ne parlavo con nessuno: per questo, di notte, sognavo.
Il giorno prima della presunta fine del mondo – era estate, un giorno bellissimo di sole e caldo – ho pregato fortissimo che non succedesse nulla: mi sono inginocchiata davanti allo specchio e ho giurato che non avrei più ripetuto chissà quale grosso peccato. Mi sembrava un ottimo scambio – io faccio la brava, e tutto il mondo si salva insieme a me. Avevo 9 anni e non volevo morire per colpa del sole che esplode.
Quello che più mi fa pensare su questo episodio della mia infanzia è il mio essere costantemente angosciata dallo scorrere dei giorni: ogni attimo passato era infatti un attimo in meno prima della fine del mondo, e, anche se di giorno andava tutto bene, di notte mi addormentavo con un senso di tragedia imminente. Poi il fatidico giorno è arrivato, ed è passato, e di quel giorno che avevo atteso e temuto così tanto io non ricordo niente; forse perché è stato un giorno come un altro. Così ho smesso di avere terrore della fine del mondo e mi sono incollata addosso un’altra paura, come solo i bambini sanno fare.
Non ho mai più sognato in modo così ricorrente qualcosa come in quel periodo della mia vita, anche se non ho dimenticato quegli incubi.
Vi racconto questa cosa sulla paura perché sono tre giorni che mi è tornata addosso la stessa sensazione. La cosa più brutta, come quando aspettavo che la profezia di Nostradamus si avverasse, è che ho la sensazione che qualcosa stia per succedere. Solo che adesso non ho una data precisa da attendere, e non so cosa aspettarmi.
Ma soprattutto, adesso ho una bambina.
E’ un altro tipo di paura che non conoscevo. E’ sapere che ho una cosa più importante di me da proteggere. Non più me, bambina, che dice una preghiera e promette di essere buona nella sua stanzetta, ma me più una bambina, che è la mia. Cosa farei se ci succedesse qualcosa, in uno di quei giorni da cui non ci si aspetta altro che sia un giorno qualsiasi? E cosa posso fare per impedire che qualcosa di brutto ci capiti?
Uscire di casa per sconfiggere il terrore, informarsi di più, non leggere più i giornali, trovare nuove fonti di informazioni; pregare, piangere, pensarci spesso, non pensarci più, ché tanto se deve capitare capita comunque. Prendere l’aereo lunedì prossimo, lasciar perdere e non rischiare, rinchiudersi in un bozzolo e non uscire più.
Cosa dovrei fare? Elena mi sta guardando, ride.
Elena non ha ancora paura di niente.
C’è chi esorcizza la paura con una vignetta, chi con i colori di una bandiera, chi sputando veleno sui governi, chi dei governi non sa nulla e spara a zero sulla religione.
Io esorcizzo la paura amettendo di avere paura.
Ma è un altro tipo di paura: ora non sono più solo io, e questa cosa mi terrorizza e mi rende invincibile allo stesso tempo.
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