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A volte non ascoltare è il modo migliore per essere madre

10 maggio 2017 | Scritto da Giovanna Gallo | 2 commenti

Ovvero: il potere salvifico dell’udito selettivo.

Voi che siete mamme montessoriane sempre pronte al dialogo e regine di calma, mi sembrate lontanissime. C’avete figli perfetti e un fegato che resiste alle intemperie genitoriali o semplicemente siete perfettissime voi?

E voi, mamme hygge, che siete sempre a cercare la felicità e ficcate i vostri bambini nelle culle di cartone, io vi stimo. Avessi un’unghia del vostro savoir faire.

Io sono un genitore normale, che non segue nessuna tendenza. Sono una mamma che non si definisce, tipo le nostre mamme, insomma. Però un’etichetta ce l’ho: sono una senza-pazienza. Non ce la faccio ad aspettare, non so gestire manco le sorprese, per dire. Pur di non aspettare mi spoilero tutto, o mi faccio un auto regalo. Non sopporto chi perde tempo in chiacchiere e chi non va subito al sodo. Arrivo sempre in anticipo, talmente tanto in anticipo che finisco per detestare chi arriva dopo di me, ma puntuale.

Ovviamente adesso sono una persona diversa, perché da quando ho fatto una figlia ho dovuto scavare nel profondo della mia anima per reperire un briciolo di pazienza. Davanti a questa tipa di quasi due anni nel pieno dei Terrible Two che risponde al nome di Elena devo essere tipo ineccepibile, perché, hey, adesso imita tutto manco fosse una del Bagaglino: ultimamente, ad esempio, nutre grande fascino per la carta igienica e i suoi usi intrinseci e se non stai attenta te la ritrovi con le braghe calate e metri di carta nel pannolino.

Insomma, anche se mi fa impazzire con i suoi capricci, non posso sbottare, non posso sclerare, non posso fare l’esasperata, non posso urlare, non posso dire parolacce, non posso arrabbiarmi, non posso essere plateale, non posso battere le mani fortissimo sul tavolo, non posso alzare i toni, non posso lanciare saette con lo sguardo, non posso guardare di traverso, non posso puntare i piedi, non posso, in pratica, essere quella che ero prima. Perché io sono un esempio. E lei una spugna.

Da un paio di giorni Elena ha imparato a torturarmi gli organi interni con aghi sottilissimi e appuntiti (rappresentate dalle sue urla) anche quando siamo in giro. E’ diventata in pratica la bambina che guardavo con compassione quando non avevo figli, quella buttata per terra urlante nel bel mezzo della folla.

A casa è facile gestire le sue piccole crisi: so come distrarla e se c’è qualcuno a cui mollarla so anche in quale stanza posso rinchiudermi per sfuggirle. A casa posso corromperla con cibo appealing e proibito senza che nessuno mi giudichi male. Posso farla urlare a volontà, tanto c’è il controsoffitto e da sopra non ci sentono.

Ma in giro, amici miei. In giro siamo solo io e lei, e lei è un essere completamente irrazionale in fissa con qualcosa che non può avere, mentre io sono il suo Signor No. Il suo vivere nel presente, nel qui e ora, rende quella cosa il suo unico obiettivo: e se non le permettete di raggiungerlo ve la farà pagare cara. In giro siete circondati da persone che vi guardano male e pensano quello che pensavate voi dei genitori con figli capricciosi, quando eravate libere di ammazzarvi di Mojito in un giorno feriale prendendovi le conseguenze del caso, di dormire almeno fino alle 9, di non programmare nulla della vostra vita, di non dover essere l’esempio per nessuno.

Eppure è successo: mentre da Kiko cercavo di scegliere un mascara sforzandomi di ascoltare i miei pensieri ed elencare le mie esigenze (“ExtraBlack, Allungante, Volume, No Waterproof“), Elena è impazzita. Il motivo non lo conosco. E’ solo, letteralmente, impazzita. Se in vena le avessero iniettato dell’adrenalina avrebbe avuto meno energia. Non voleva più staccarsi dal bancone degli smalti ma io dovevo pagare, e lei non ne voleva sapere. Allora, mentre urlava con tutta la forza dei suoi irragionevoli due anni, l’ho portata dal padre e mentre piangeva perché la abbandonavo con il proprietario 50% del suo DNA io sono tornata dentro e ho trovato in me la FORZA.

Ho attivato l’udito selettivo. Ho ascoltato la commessa elencare i pregi del nuovo rossetto supershiny qualcosa; la tipa bionda dietro liceo davanti museo che raccontava qualcosa sui calzini del marito; se mi fossi messa d’impegno avrei potuto trovare interessanti anche i battiti del mio cuore.

Avrei potuto dare di matto appresso a Elena, e invece no. Il mondo non ha bisogno di un’altra mamma pazza in giro, ma di una che sa quando spegnere le orecchie per evitare di sclerare sì.

 

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Categoria: Senza categoria, Sono mamma, e adesso?
Tag: bambini due anni, capricci nei bambini, cosa sono i terribile two, essere mamma, gestire capricci, neomamma, terribile two, vita da mamma

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Commenti

  1. Eleonora says

    12 settembre 2017 at 16:30

    Mi ritrovo molto in questo post, perchè come te ho un bimbo di due anni che fa per tre. Loro sono spugne, noi sempre più scariche. E la pazienza? Quella se ne va anche se ne avevi da vendere, soprattutto quando dalle 8 del mattino fino a mezzanotte sta sveglio nemmeno avesse le duracell. E allora che fai? Io mi chiudo in bagno e sogno di fare un corso di yoga.

    Rispondi

Trackbacks

  1. I Terribili due: piccolo bignami di sopravvivenza. – Le avventure di una mamma metropolitana ha detto:
    11 ottobre 2017 alle 17:01

    […] A volte non ascoltare è il modo migliore per essere madre sempre di Giovanna Gallo […]

    Rispondi

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