Il primo dialogo non richiesto sulla maternità l’ho avuto con me stessa un attimo dopo aver scoperto di essere incinta: ed era niente in confronto a quello che sarebbe venuto dopo.
Quando ho scoperto di essere incinta non ho pianto, mi è solo andato in pappa il cervello. Il mio compagno però ha lacrimato un sacco: era molto tenero e molto buffo, mentre realizzava, piano piano, che stava diventando un papà. Io lo guardavo e nel frattempo pensavo cose.
Siamo fritti, ho pensato. Non abbiamo abbastanza soldi. Io non sono pronta per partorire. Saremo poveri. Come faremo. Non sopporto la puntura di una vespa, figuriamoci gli incommensurabili dolori del parto. Voglio uno spritz, ma non posso bere alcol. Porca vacca, ho mangiato la crema al mascarpone con l’uovo fresco l’altro ieri: ecco, me la merito la salmonella. Devo fare le analisi. Devo fare la visita. Devo trovare una ginecologa, cercarne una che lo faccia uscire in modo indolore, come quando attacchi il computer alla chiavetta USB. Ecco, voglio partorire così, per trasferimento dati. Io penso fortissimo al bambino, e quello esce: sano, rosa, simpatico. Devo dirlo a mia madre.
Non siamo sposati, a mio padre non lo dico. Non si è ancora ripreso dal fatto che vivo nel peccato, figuriamoci se gli faccio intendere che ho concepito un figlio alla maniera biblica senza fede al dito. Quanti soldi abbiamo in banca? Come lo dico al mio capo che mi ha appena dato una promozione? In questa casa dove lo mettiamo un bambino? Un cassetto del comò rivestito di fiori e cuscini può andar bene? Ecco, quando ho scoperto di essere incinta della mia bambina, il primo dialogo non richiesto l’ho avuto con me stessa: ed era niente a confronto a quello che sarebbe venuto dopo.
Dialogo non richiesto #1
Il primo dialogo inopportuno che ho affrontato da mamma è con una segretaria qualunque di uno studio medico qualunque.
“Data ultimo ciclo?”
Cosa ne so, ho pensato, ho comprato un’agenda per segnarmi le cose, ma avrei bisogno di qualcuno che mi ricordi di scrivere le cose sull’agenda. “Data ultimo ciclo?”, ripete la segretaria, e io cerco di fare mente locale. Torna indietro di 6 settimane, questo dice il test: sono incinta di un mese e mezzo. Provo ad associare un evento, un fotogramma, un momento qualsiasi per tentare di ricordare in quali giorni avessi il ciclo. Niente, novembre è lontanissimo, è prima di un sacco di cose: prima di Natale, di Capodanno, e di una mini fuga romantica a Nizza in cui la sola vista delle crepes au sucre e del pain au chocolat mi ha dato la stessa sensazione delle unghie sulla lavagna.
Decido di sparare un “23 novembre”, anche se non ne sono per niente sicura. La segretaria sembra soddisfatta della data, non sa che ho barato. Quando metto giù mi rendo conto di avere un primo appuntamento dopo un sacco di tempo, da segnare in quella agenda dove sono più gli eventi che manco che quelli che segno: incontrerò quella cosa di 3 millimetri che mi galleggia nella pancia e odia a morte i dolci francesi.
Dialogo non richiesto #2
“Se Elena non vuole fare il bagnetto, non costringerla. Le provochi un trauma che non dimenticherà tanto presto. Se le fai odiare l’acqua lavandola non entrerà mai più in una piscina per i prossimi 30 anni: è questo che vuoi? Distruggere la sua potenziale carriera come addestratrice di delfini e murene?”
Allora ditemelo che basta così poco per avere un trauma: se la mettiamo così io sono ancora scioccata dalla morte di Beth in Piccole Donne.
Dialogo non richiesto #3
“Se non allatti/porti in fascia sei una pessima madre“; “Se lo allatti troppo/lo tieni troppo in braccio poi si abitua”
Fate pace con la vostra coscienza e mettetevi d’accordo con Montessori, teorici del metodo Hygge e psicologi infantili su cosa è meglio per mia figlia e poi NON fatemelo sapere, grazie.
Dialogo non richiesto #4
“Ma come, Elena va al nido? Non era meglio la babysitter?”
ma anche
“No, la babysitter no, che diventa una sociopatica non abituata a stare con i bambini”
ma anche
“No, l’asilo no, e se poi la trattano male!?”
ma anche
“Ma perché non le fai fare l’HomeSchooling?”
…
Il mio modo per sopravvivere a questa giungla di consigli non richiesti è uno solo: non ascoltare. È il mio atto di ribellione a un sistema che ti vorrebbe sempre perfetta ed efficiente, quando l’unica cosa che, a volte, si riesce a fare, è semplicemente arrivare a fine giornata.
A questo punto un consiglio non richiesto voglio darvelo io, ma puramente letterario. Mi riferisco al libro di una collega blogger che conoscerete senz’altro, Giada Sundas, che ha pubblicato da poco con Garzanti Le mamme ribelli non hanno paura: un bell’esempio di ribellione selvaggia a quelle mamme perfettissime che noi non saremo mai.
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