Il Festival del Cinema di Venezia edizione 2010 ha allargato gli orizzonti dello Spettatore con nuovi film e nuovi spunti cinematografici da analizzare. Un prodotto a metà tra l’Italia e Hollywood vince il concorso: Somewhere di Sofia Coppola, racconto di un mondo ovattato in cui regna il silenzio. Finché..
Somewhere, the importance of being an Idol
C’è disgusto, inettitudine e silenzio nel film che Sofia Coppola ha presentato al Festival del Cinema di Venezia, vincendolo. C’è un attore, famoso, nazionalpopolare, belloccio, ma di una bellezza sfatta e non misurata, un attore che ha visto tutto e che non ambisce più a nulla. Lap-dancers a domicilio, svogliate nel loro arrampicarsi al palo, ma pur sempre bellissime (le gemelle ex fidanzate di Hugh “Playboy” Hefner) lo fanno addormentare. Donnine in topless che ammiccano, lo annoiano. Un rapporto orale regalato a una qualunque lo fa crollare direttamente sul luogo del delitto. Il clima festaiolo del mitico Chateau Marmont gli procura solo un braccio rotto dopo i bagordi. La vita di Johnny Marco (Stephen Dorff) si può riassumere nella sequenza iniziale: una telecamera fissa che lo inquadra mentre corre in macchina lungo un circuito deserto. La regista non pretende di seguirne tutti i movimenti: se l’attore esce dal campo visivo, pazienza, non è lui la cosa importante. Pochi dialoghi, il silenzio è rotto solo all’arrivo della figlia di lui (Elle Fanning), che riporta un po’ di vita e sorriso. Una piccola donnina che ride molto e cucina, che ama viaggiare e che si godrà, in prima fila, l’orribile siparietto sexy in onore di suo padre della nostrana Valeria Marini (sopravvalutata guest-star) ai Telegatti italiani. Un film che è’ dolce, è lento, ma bello. C’è fine all’apatia? Solo lasciando il mondo ovattato degli attori famosi c’è pace e armonia. E così sarà per Johnny.
Sofia Coppola è una a cui piacciono le storie struggenti ma delicate e le porta al cinema in punta di piedi. In “Lost in Translation” crea una storia d’amore strana e dolce; ne “Il giardino delle vergini suicide” racconta di un micro-cosmo che porta alla morte, ma con crescente nostalgia; in “Marie Antoinette” sceglie di raccontare il fasto di Versailles e non il momento della ghigliottina. In “Somewhere“, che è un puro esercizio cinematografico – piani sequenza, sguardi in camera che tagliano – decide di regalare a tutti una storia che non ha un filo nè dei punti di partenza, ma solo una fine, quella tanto desiderata. L’arrivo a un bivio, senza la paura di sbagliare. Perché lo sbaglio è sicuro: ma almeno adesso è possibile accettarlo.
VOTO: 8
Informazioni sul film:
Un film di Sofia Coppola. Con Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius
Drammatico, 98 Minuti
Sarà che ho visto Tokyo più di una volta, ma Lost in translation mi aveva lasciato commosso: vago sapore di ambrosia mista a sushi. Credo mi scar… ermmm… NOLEGGERO’ anche Somewhere -someone in summertime, non necessariamente nell’ordine, mitici Simple Minds.-