Quando su un film hai tante aspettative e vai a vederlo perchè ci tieni proprio, quando poi questo film arriva da una serie tv che hai amato moltissimo – una delle più belle serie tv degli ultimi anni e, udite udite, pure italiana – insomma, l’unione di tutte queste cose non depone a favore del giudizio del film, se qualcosa va storto. E se il film ti piace? E’ ancora più difficile scriverne.
Questo è il caso di Boris – Il film, giunto sullo schermo non a caso il primo Aprile, come se un prodotto del genere non ce la facesse proprio a venire allo scoperto in un giorno normale, dopo mesi di gestazione (“Il cinema non ci vuole, non è pronto per noi“, diceva Francesco Pannofino ai giornali), anticipato da teaser e markettoni cinematografici – vedi “Nessuno mi può giudicare” di Massimiliano “Bucio de Culo” Bruno – e da una mastodontica attività di promozione su Facebook.
Ritroviamo in nostri baldi protagonisti in preda alle paturnie da insuccesso: il regista Renè (Francesco Pannofino) è in crisi dopo il rifiuto di girare l’ennesima “scena alla cazzo di cane“, con Stanis la Rochelle (Pietro Sermonti) nei panni di un giovane papa Ratzinger e si ritira a vita privata, proprio come ha fatto Arianna (Caterina Guzzanti), la sua assistente, ormai lanciata nel mondo della ristorazione chic. Per Lopez (Antonio Catania) e tutti gli altri, la storia è sempre la stessa: creare film per la tv che siano allo stesso tempo macchine per soldi e di share. Duccio (Ninni Bruschetta) continua a pippare e tutta l’equipe de Gli occhi del cuore a vivere la propria vita in attesa che Renè rinsavisca e torni a girare scene immonde. Ma la qualità è sempre in agguato e quando a Renè viene proposto di girare il film tratto dal libro La casta, cominciano i guai: finti bombardamenti sul set, Stanis travestito da Gianfranco Fini, attrici insicure e schizzate (un’ottima parodia dei personaggi cari alle verie Margherita Buy, Isabella Ferrari& Company), attrici pronte a tutto pur di apparire sullo schermo, intrighi della rete, cinepanettoni trash..
Boris il Film è da vedere. Chi non ha mai visto la serie, ne ha gustato solo un assaggio, ne ha solo sentito parlare, può rincongiungere le fila a partire dal film. Si perderà il citazionismo e i rimandi a quei dettagli che hanno fatto grande la serie e la caratterizzazione dei personaggi – Stanis, in assoluto il mio preferito, ad esempio, rimane un po’ in ombra. Lo ricordo ancora quando, piangendo, invocava Wim Wenders dalle sbarre di una finta prigione – ma la forza di Boris è che funziona da solo. Funziona come ritratto dell’Italia, della politica, delle becere trame del potere che si intrecciano alle voglie delle veline e dei produttori, degli ambienti loschi e burini, delle “attrici cagne e zoccole“, degli stagisti sfruttati.
Boris parla di tv in tv e di cinema al cinema, ma il risultato non cambia. Renè Ferretti, solo, disgustato e basito davanti all’immotivata scena di sodomia tra un orso e un uomo sfortunato tratta dal solito cinepanettone è, senza ombra di dubbio, il ritratto vivente dello spettatore di Boris. Chi va a guardare Boris, e ride per Boris, e pensa che Boris sia un prodotto sano della nostra tv, forse l’unico, non ride per i cinepanettoni. Insomma, non li prende neanche in considerazione come fonte umoristica.
Siamo tutti come Renè Ferretti: un po’ la tv la facciamo, un po’ la guardiamo, un po’ la critichiamo, ma ah! se solo potessimo partecipare e diventare protagonisti! Come Renè, troppo lucido per accontentarsi del successo di Occhi del cuore e di Medical Dimension, siamo consapevoli che di quella becera accozzaglia di immagini e contenuti che è la tv non potremmo farne a meno.
Boris il film è da vedere, perché fa ridere, perché è ben recitato, perché è ironico, perché in fondo ci meritiamo di guardarci allo specchio e anche il comico demenziale e le scene trash e le tette a tutte le ore e le maledette cagne tutte sospiri e faccette e i prodotti scarsi che riflettono il nostro modo di godere la vita. Accontentandosi.
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