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Cose che una freelance non vi dirà mai sul lavorare da casa

28 novembre 2012 | Scritto da Giovanna Gallo | 9 commenti

Vita da freelance: una giovane professionista racconta la sua giornata tra clienti da coccolare, lavatrici da fare e commissioni da incastrare. Perché l’homeworking è tutta un’altra cosa, se parliamo di una donna.

Sono sempre stata una freelance, nel senso che avete davanti una delle poche fortunate ventiseienni mai sottoposte – se non per brevi periodi (leggi: stage sottopagati) – a orari d’ufficio, beghe col capo, buste paga, pause pranzo, 9-18 e poi di corsa sopra un autobus pieno d’umanità. Nel 2011 ho deciso di aprire Partita Iva e lei è ancora lì che mi guarda e si bea degli acconti che devo sborsare come non ci fosse un domani, ma anche dei ritmi più rilassati che il lavoro da casa comporta.

Sebbene il 90% dei miei conoscenti non abbia ancora capito che lavoro faccio per vivere – la mia risposta generica è Scrivo – e il restante 10% mi odia perché posso alzarmi ogni mattina alle 9 spaccate e un minuto dopo essere al pc col la mia tazza di caffè e le pantofole, essere un freelance non è per niente facile, soprattutto se sei una donna.

Perché ormai lo sappiamo, noi ragazze siamo delle eroine multitasking capaci di ogni acrobazia, in tutti gli ambiti in cui siamo chiamate a fare la nostra parte, che corrisponde più o meno a quella in cui gli uomini non sanno, non ce la fanno, non possono, non è nel loro DNA.

Ma com’è davvero la giornata di una freelance?

Innanzitutto, sfatiamo il mito, mio caro dipendente, che il freelance lavori meno di te. Se uno ha da fare, non alza la testa dal suo pc sia che si trovi in ufficio, sia che stia a casa.

Sono una freelance donna, ed è d’obbligo confermare che, a meno di eccezioni, mi piace lavorare in ciabatte, su una scrivania colorata, circondata da organizer, ma in ciabatte. Se fa freddo non disdegno la vestaglia di ciniglia (quella che lui : “Bleah!” e che lei: “Riscaldami tutta, morbidella!“) o la coperta sulle spalle a mò di mantello di Batman.

Non mi sveglio mai insieme al mio ragazzo con orari d’ufficio e mi rigiro nel letto stringendo gli occhi, cercando di eludere lo sguardo abbattutto e frustrato di chi, per la centesima volta, ha visto infrangersi la promessa “Colazione insieme domani mattina” (leggi:tu  fai il caffè mentre io mi passo il gel tra le chiome).

Se ho una SkypeCall video mi accerto di avere almeno indossato il correttore per le occhiaie e di sciogliere lo chignon che mi fa sembrare più la sorella della Piccola Fiammiferaia che una professionista in carriera. Ho calcolato che, a meno di movimenti troppo ingombranti, la camera del pc riprende solo quello che tu vuoi che riprenda, quindi mai da sotto il seno in giù. Di solito indosso pantaloni del pigiama a quadrettoni, che non so perché sembrano sempre perfetti addosso alle tipe delle commedie romantiche, ma indossati da me sembrano solo dei pantaloni del pigiama a quadrettoni, con tutta la carica orrorifica che questo comporta.

Il mio telefono squilla in continuazione e forse non dovrei dire che, per quando non ho voglia di rispondere, sono troppo impegnata in beghe da Social Media Manager o concentratissima nella stesura di una CosmoMappa per le amiche di Cosmopolitan, ho preimpostato un messaggio affannato che blatera di riunioni lunghe intere giornate, conferenze stampa eterne, trasferte. Così poi richiamo quando ho finito di stilare la mia mappa da Cosmogirl.

Sono mediamente organizzata, quindi i miei orari ricalcano quelli dei colleghi in ufficio: 9-13, pausa pranzo con un paio di episodi delle più svariate serie tv, 15- XXX. Capita che un’amica mi inviti a pranzo, o un cliente mi trascini fuori dal mio “ufficio” per un caffè, o un evento che mi fa gola si frapponga tra me e le mie ciabatte. Allora infilo le scarpe ed esco, con il mio smartphone sempre affidabile a cui sto pensando di fare un pensierino per Natale, tanto mi aiuta a far finta di essere china sul pc, mentre invece sono a mangiare un cupcake o a dibattere di questioni in sospeso tra la vita e la morte (leggi: fuffa).

In mezzo a tutto questo – articoli da scrivere, clienti da coccolare, eventi da seguire in diretta, utenti con cui litigare per via della loro inettitudine, telefonate e mail cui rispondere entro 3,2,1!,  eventualmente appuntamenti da far coincidere con il lavoro operativo e d’accounting da concludere giornalmente – c’è lei, la casa.

Che dalle 9 alle 19 è un ufficio, dunque un luogo neutrale e al tempo stesso ospitale, un tavolo con sopra un portapenne e mille agende, il cellulare, il pc e anche il tablet se proprio voglio sentirmi la regina della tecnologia, la televisione spentissima, nessuna distrazione a parte la chat di Facebook  e le mie dita che battono sui tasti. Ma che è anche una casa, che alla sera accoglie un uomo, torvo per la giornata in ufficio e in preda all’abbiocco pre-cena, con delle aspettative: che tu abbia svolto delle commissioni importantissime ed evidentemente (per lui e per il mondo tutto) incastrabili nella tua giornata lavorativa a casa (“Hai portato i copridivani a lavare? Hai comprato il pane? Hai fatto la lavatrice che non ho più mutande? Perché non hai rifatto il letto? Ma questi sono i piatti della cena di ieri?“).

E allora, se un giorno la lavatrice salta, per strani incastri del destino, ne arriva un altro in cui ti imponi di farla mentre stai risolvendo un problema via mail (circa 70) con un cliente; se i copridivani hanno passato il mercoledì a guardarmi tutti tristi dal divano spoglio, il giovedì affronto la pioggia e l’inverno e li affido a qualcuno che sappia come asciugarli in meno dei dieci giorni previsti dall’asciugatura in appartamento.

Forse non tutte le freelance donne hanno il coraggio di dire che il letto rimane sventrato come dopo un bombardamento fino alle 18.50 (prima che arrivi lui o gli ospiti per la cena), ma io sì, lo dico: mi alzo, mi lavo, caffè e pc e poi mi forzo a dimenticarlo perché il solo pensiero del letto mi riporta fra le sue braccia e io non posso permettermelo. Tira più l’aspettativa di un sonnellino pomeridiano che un buffet a gratis in tempo di crisi e la mia missione è stargli lontana fino a quando, ormai satolla di lavoro, posso permettermi di avvicinarmi a lui senza cadervi sopra e riaddormentarmi.

Sono una freelance ma anche una donna, e, sebbene inetta in casa come solo Carrie Bradshow sapeva essere con la sua cucina, il richiamo del luogo in cui trascorro le mie giornate battendo sui tasti a volte mi raggiunge, insieme a quello dei sensi di colpa (“Lavami! Stirami! Appendimi! Buttami!”)

Cari amici dipendenti, che smadonnate perché non riuscite a fare nulla dopo le sette di sera, avete ragione: il mio ufficio in casa è comodo, è bello, è accogliente e apprezza le mie ciabatte. Se voglio vedere gente prendo ed esco (e se ci metto troppo lavoro di più alla sera); non mostro paranoie nell’uso del bagno perché non c’è nessuno, a parte me, a giudicarmi; per quando sbaglio, ho messo a punto delle tecniche di auto-cazzio mai troppo aggressive, per non ferire i miei sentimenti.

Però alla sera, quando arrivate stanchi e non avete nessuna voglia di buttare l’immondizia, i vostri sensi di colpa tacciono: “Sei stato in ufficio, amico” dicono “non ti devi preoccupare“. Sorridono. Non sono indiscreti.

Io sono una donna e convivo con loro quasi quanto con il mio fidanzato. A volte li faccio tacere ma altre si trasfigurano in una figura che ricorda vagamente mia madre, e allora non posso fare altro che farlo. E se il telefono squilla mentre sto lavando i piatti, poco male: quel messaggio automatico salvifico riferirà che sono nel bel mezzo di una riunione fondamentale da cui mi libererò solo molte ore dopo, quando ormai sarà troppo tardi per richiamare.

Il che corrisponde a verità, visto che la riunione è con la mia coscienza di donna multitasking con la casa (incasinata) sempre sott’occhio.

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Categoria: Lifestyle, Vi racconto le donne
Tag: consigli per vivere in coppia, coppia, cosmopolitan, essere freelance, freelance, freelance a torino, homeworking, segreti sulle donne, social media, vita da freelance, web marketing torino

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Commenti

  1. Elisa says

    28 novembre 2012 at 14:45

    sei troppo forte! ho fatto quest’esperienza (il lavoro freelance) e condivido tutto quanto.. Sembra una goduria e per certi versi certamente lo è, ma ha i suoi contro, anche psicologici (sensi di colpa casalinghi in primis) 🙂

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  2. Sara says

    28 novembre 2012 at 18:07

    Hai raccontato benissimo la giornata di una freelance, ma vale anche per chi lavora e deve far quadrare casa, lavoro e famglia!!! Ma quello che mi è piaciuto è stato ol modo divertente con cui ne hai parlato!!!

    Rispondi
  3. Danila T. says

    29 novembre 2012 at 10:24

    Quando vivi sola e non con un uomo che la sera torna a casa la situazione peggiora. Io mi alzo alle sette e ancora con il biscotto incastrato tra i denti mi metto davanti al computer, sguardo veloce a Facebook (della serie “vediamo cosa è successo di rilevante mentre facevo le mie appena 5 ore di sonno). Lavoro anche fino alle 23, capita di frequente, tanto non devo preparare la cena per nessuno, e spesso ho dei ritmi incalzanti peggiori di quello di un ufficio, dove comunque ad un certo punto fai una pausa per prendere un caffè con un collega. La gente mi chiama e alle 11 del mattino mi chiede “ma stavi dormendo?” e io “no ho semplicemente la voce bassa perchè dalle sette del mattino sto facendo il gioco del silenzio”, insomma non lavorando in un ufficio al massimo puoi scambiare qualche parola sulla chat di Facebook, che per evitare le seccature di gente “schiffarata” che non ha nulla da fare e vuole chiacchierare, tengo rigorosamente chiusa. Siamo a novembre, veramente praticamente a dicembre, ho soltanto fatto il cambio stagione delle scarpe, manca ancora quello dei vestiti e oggi fa davvero freddo (però in Sicilia te lo puoi permettere). Sembra tutto rose e fiori…perchè apparentemente non hai orari, anzi in teoria i tuoi tempi sono molto flessibili….ma non è così specialmente quando ti accorgi che il frigo è vuoto e cominci a mangiare piselli surgelati (proprio non cucinati….) e ogni volta che lo dico mi prendono per stramba tanto che mi è venuto il dubbio che fosse non facciano molto bene…Anche il freelance è stressato, forse più di chi lavora in ufficio e alle cinque chiude la porta e torna a casa. In compenso lavorare a casa ti fa guadagnare di più perchè non spendi nulla per la benzina, e no, non siamo al nord la metro a Palermo fa 4 fermate e quando perdi un autobus devi aspettare l’altro almeno per un’ora…..ma soprattutto in questo mare magnum di precariato e disoccupazione io mi vanto sempre di fare una cosa che mi piace….e la gente pensa “che culo….”!

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  4. Mademoiselle says

    30 novembre 2012 at 16:49

    durante i miei primi tempi da freelance (vivevo ancora coi miei), mia madre che si alzava prima di me mi lasciava la lista di cose da fare: stendi il bucato, passa a comprare il pane, metti su l’acqua per pranzo… il fatto che io fossi in casa ma lavorassi e non avessi il tempo per queste cose era un concetto a lei non troppo chiaro. ora, che continuo a fare la freelance ma vivo col fidanzato, lui torna a casa la sera e non si capacita del fatto che io sia stanca. Ma almeno per fortuna lui di lavatrici e affini non mi chiede nulla: la mia paga media di una giornata intera la baratto con quattro ore della Signora Santa Subito che rassetta la casa e la mia vita. …Forse ho sbagliato tutto!

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  5. Lori says

    4 dicembre 2012 at 17:29

    Ma è meraviglioso. Fondiamo un club e scambiamoci consigli!
    Hai fatto il mio ritratto. Io traduco da casa (ed esco per docenze)…ora pero’ scappo. Devo fare il letto perche’arriva la mia nipotina.

    Rispondi
  6. Juls @ Juls' Kitchen says

    30 gennaio 2013 at 13:59

    Ciao! ti ho trovata oggi perché consigliata da un’amica che ha detto: questa descrive la tua vita a casa… ed è vero! il letto lo rifaccio la sera giusto per dire che rientro in un letto rifatto – che ci piace, non neghiamolo, ma farlo la mattina anche no.
    Io sono freelance a suo modo, foodblogger freelance, quindi il mio ufficio è soprattutto la cucina. I piatti nel lavandino raggiungono altezza improponibili, ed essendo toscana pendono come la torre di Pisa. Mi riprometto di lavarli man mano che li uso ma tendono ad accumularsi, anche perché nel frattempo faccio le foto.
    Quando mi siedo per scrivere di solito mi avvolgo nella vestaglia di pile: io appartengo per tradizione al club del pile, ma ho la tuta in ciniglia addosso adesso adesso, e le ciabatte di peluche fucsia, così riesci a collocarmi nella giusta categoria.
    Insomma, ti leggerò volentierissimo d’ora in poi!
    Giulia

    Rispondi
    • Giovanna Gallo says

      31 gennaio 2013 at 14:08

      @juls ma che bello, non sono la sola! Armiamoci di ciabatte e andiamo a lavorare! Un saluto!

      Rispondi
  7. Melody says

    22 febbraio 2013 at 2:09

    Bellissimo testo e mi descrive proprio in pieno 🙂

    Rispondi
  8. Marzia says

    11 settembre 2013 at 16:26

    Girando nel tuo blog ho trovato questo, è perfetto! Io dopo 10 mesi di lavoro da casa con 2 socie ho aperto un coworking e adesso lì lavoro e a casa … ci dormo (!), ma mi sono compenetrata moltissimo in questo articolo e ho rivisto me stessa agli albori della mia attività da freelance quando ho letto queste parole:
    “con la coperta sulle spalle a mò di mantello di Batman” Sì! Sono io! È la cosa che più mi manca dell’homeworking e dal momento che allo studio non abbiamo coperte io sulle spalle mi ci metto il cappottino a mò di scialle di Nonna Belarda!

    Rispondi

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