Cara Calabria,
parla una che è scappata via da te. Quattro anni sono passati senza il profumo del mare, quello che ti prende le narici quando piove e ti sembra quasi di essere sul bagnasciuga. Quando penso a come me ne sono andata – con la scusa di tutti, “qui non c’è lavoro“, giustificata dalla mancanza di futuro e di prospettive da amici e parenti – mi sento una traditrice, una di quella che non ha neanche il coraggio di lasciare faccia a faccia, ma lo fa per telefono, quando sei già al sicuro tra le braccia di un altro.
Cara Calabria, sono andata via perché non ho creduto che le cose sarebbero cambiate. Quando hai un’ambizione, quando hai un progetto in testa, quello ti mangia tutto finché non arriva dove vuole: alla sua realizzazione. E così ho preso un treno e sono partita, costruendomi una vita lontano da casa e dalla mia famiglia, dal giardino pulito che sa di arance e che in primavera ti rallegra con il ronzio dei calabroni e l’odore dei pomodori messi a seccare al sole.
Quando penso a cosa ho lasciato, mi sento in colpa. Perché avrei potuto rimanere e cambiare un po’ le cose: farlo per me, per i miei fratelli e per i miei amici, che a volte boccheggiano nella speranza di trovare la loro strada senza neanche un fiammifero a illuminare la via.
Eppure, mi dico, loro sono rimasti. Combattono, ogni giorno, per soddisfare ambizioni e sogni, e lo fanno con le maniche rimboccate e gli occhi sgranati di chi sa che la fortuna non è certo dietro l’angolo. Eppure, mi dico, loro son rimasti.
Cara Calabria, certo torno appena posso: torno nel giardino che sa di scorza d’arancia e sulla spiaggia scura scenario di tante estati. Torno a casa, perché sarai casa sempre.
Ho il rimorso di non aver fatto nulla per cambiare quella faccia corrucciata di chi a volte non decide per sè, ma lascia decidere agli altri cosa è meglio per lei. E così guardo da lontano le tue colline brulle, le tue spiagge ancora incontaminate, i sorrisi di chi mi ha cresciuta e di chi ho lasciato sapendo in cuor mio che potevo fare di più. E allo stesso tempo che non sarei tornata mai.
Nonostante questo, sono felice. Lontana da casa ma in una città bellissima che mi dà da mangiare e mi permette di coltivare un sogno – quello di vivere di sola scrittura – e realizzarlo quando sarà tempo. Stare a mille chilometri da casa senza provare fare quello che desideri, è quella la punizione.
Cara Calabria, di te mi mancano soprattutto gli odori e i sapori. La tavola che diventa momento di incontro. Quel va e vieni continuo sulla porta di casa che non è mai un disturbo. Quel sole primaverile a dicembre. L’abbraccio di mamma e la sua torta della domenica. Gli amici che conoscono di te anche quello che vorresti dimenticare. Il prezzemolo delle polpette raccolto in giardino, sul momento. Le primizie dell’orto. Angoli e strade che ho percorso da bambina, poi da ragazza, da donna e infine da viaggiatrice in partenza. La stanza con le foto dei miei miti dell’adolescenza, gli stessi che ho adesso. Le olive pestate dalla pietra. Il pesce che arriva direttamente da mare.
Cara Calabria
ripenso ai 23 anni che ho vissuto nel tuo verde e ringrazio per la sensazione che mi stringe la bocca dello stomaco quando dall’aereo riconosco le tue coste. Per la nostalgia all’aeroporto che mi prende quando vado via. Per la rabbia che mi fa sapere che mafia e territorio – cultura, salute, ambiente, amministrazione pubblica – sono un matrimonio che nessuno riesce ad annullare. Per la sensazione che provo quando chiudo gli occhi e mi addormento nel mio letto di bambina.
La peggior punizione per essermene andata sarebbe stato voltare le spalle, chiudere gli occhi e non provare niente.
Cara Calabria, non so se tornerò mai ma so che non mi stancherò mai di parlare di te, del profumo delle arance, della fragola appena nata nel giardino e della mia nostalgia.
E sarà in quel momento che ricorderò cosa vuol dire davvero la parola “casa“.
***
Questo post è stato ispirato dall’attività del Progetto Sud Altrove dell’associazione culturale calabrese LiberaReggio/Terre Arse. Il loro documentario dedicato all’emigrazione calabrese (riflesso di tutte le emigrazioni del Sud verso il Nord Italia e in cui molti di voi si riconosceranno) farà il giro d’Italia per raccontare cosa hanno scoperto dalle interviste realizzate a giovani che, come me, hanno deciso di prendere e partire. A loro il mio grazie per avermi coinvolto e per avermi fatto venire voglia di scrivere questa lettera. L’avevo tra le mani da tempo, ma si era incastrata tra i tasti, alla ricerca della giusta spinta.
Qui potete leggere tutto sul progetto.
Capo Vaticano Calabria says
Ciao Giovanna,ho iniziato a seguirti su twitter. Leggendo questo articolo mi hai trasmesso l’amore e quel senso di ansia che provi per la nostra bella Calabria,le tue parole mi suonano come un inno di gloria,speranza e di forza nel continuare a dare quanto di meglio posso dare a questa magnifica terra.La rete tra di noi è tutto…buone cose e in bocca al lupo.Fabrizio Giuliano.
Giovanna Gallo says
@capovaticanocalabria Ciao , davvero grazie! 🙂
Little Miss Book says
Cara Giovanna,
mi ritrovo pienamente nelle tue parole. Anzi, io sono più dura di te nei confronti della nostra terra: le ho sempre rimproverata di un certo torpore cronico, di accettazione della sfacelo senza mai ribellarsi. Una volta sola.
Alla fine, quel torpore me lo sono portata dietro, i miei sogni non riesco a realizzarli neanche qui, in quello che una volta era il progredito Nord.
Mai come ora mi sento legata alla Calabria.