Cosa succede quando i suoceri piemontesi incontrano i genitori calabresi nei giorni di festa e in territorio straniero? Ecco la seconda parte dell’avvincente racconto sulla Pasqua Calabra in compagnia di ospiti nordici. Enjoy!
(Il prequel della Pasquetta lo trovate qui)
Esterno giorno.
Quattro panchine disposte su una piazzetta di venti metri quadrati con vista sul sempre lussureggiante porto di Vibo Marina, luogo che, per qualche insano motivo, campeggia in cima alla lista dei preferiti del padre calabro. Al centro, un qualche monumento ai caduti. Sette persone si dispongono ordinatamente sulle panchine mentre mamma calabra ne apparecchia una.
Perché queste otto persone sono lì? Perché a Vibo Marina e non in una qualche deliziosa trattoria sul mare a ingozzarsi di calamari fritti? Perché apparecchiare una panchina?
Questo, signori miei, è lo scenario della giornata di Pasquetta vissuta dalla famiglia calabra in tenuta Nazione ospitante della famiglia dei consuoceri piemontesi in visita festiva. Da che mondo è mondo, Pasquetta a casa Gallo si fa in giro e tutti separati: genitori con bambino ad esplorare il lungomare di Vibo Marina (luogo del cuore di papà) o a raccogliere more di gelso in campagna, o a raccattare acqua buona in montagna; sorella minore e maggiore con gli amici in due luoghi di solito diversi per atmosfere e contenuti.
In occasione della discesa dei consuoceri, addirittura sorella minore si associa al gruppo formato da quattro entusiasti genitori, un bambino che crede di essere Harry Potter e sostiene di essere stato creato da “uno scienziato pazzo che si chiama Gigi D’Alessio” (cit. Checco, anni anagrafici 6, intellettuali 42. Ha anche affermato “Vorrei che George Washington fosse esistito veramente (!) perché lui sapeva cosa vuol dire libertà“) e i mandanti del delitto: i due fidanzati che, unendosi, sarebbero poi stati gli artefici dello strano apparecchiamento della panchina sul lungo mare di Vibo Marina.
Si parte all’avventura delle località costiere più tipiche: Pizzo e il Tartufo “che lo fanno solo qua e c’ha il bollino e quello originale è il nostro“, seguite da Tropea e Capo Vaticano. Il tempo promette la tempesta perfetta e se posso mettere la mano sul fuoco per qualcosa è che una ridente città di mare come Tropea, sotto la pioggia e sferzata dai venti è meno appetibile di Cinisello Balsamo il 13 Febbraio.
Ma comunque.
Amanti dell’esplorazione, suoceri piemontesi si avventurano alla scoperta di Pizzo Calabro insieme a Mamma Calabra che governa con mano salda la spedizione, con in testa un pensiero fisso: trovare un posto che possa ricreare per atmosfere e comodità la tavola di casa propria. Perché si può dire tutto di un calabrese in trasferta per un pic-nic (di cui abbiamo esplorato le profondità recondite qui), ma non che riesca a mangiare se non ha davanti la perfetta ricostruzione della tavola di casa.
I suoceri piemontesi, che mangerebbero un pezzo di focaccia di Recco anche seduti su uno scoglio sferzato dalla Bora, non sembrano crucciarsi alla prospettiva di non avere davanti una tavola imbandita.
E’ qui che entra in gioco Vibo Marina: essendo da sempre luogo del cuore di padre calabro, location di tante domeniche pomeriggio da infante a guardare le navi dei pescatori con lo sfondo di ciminiere fumanti ed eco-mostri terrificanti (interessante per una bambina come solo un piatto di broccoli sa essere), l’obiettivo prefissato sin dalle prime luci del mattino è sempre stato lui: il lungo mare del porto.
La piazzetta esterno giorno con le panchine colonizzate.
Mamma calabra ha preparato per l’occasione 4 panini pro-capite e, non paga, una focaccia ripiena di variegati ingredienti tra cui la mortadella (la mortadella è l’ultimo stadio di imbottitura. Prima c’è il salame e il piombo), dei salatini e l’imprescindibile pietanza che non può assolutamente mancare a una scampagnata, secondo le sue logiche perverse di cuoca che deve far provare le eccellenze calabre costi quel che costi: patatine? Saltimbocca? Tramezzini? No, l’elemento portante del pranzo sono i carciofi fritti, sostituti della parmigiana, la cui creazione è stata bloccata sul nascere da me medesima.
(La mamma calabra infatti non disdegna il trasporto di argenteria e stoviglie a supporto di pietanze che sarebbero comode da mangiare solo intorno al calore di una tavola ben piantata al suolo e racchiusa tra quattro mura).
Con la panchina imbandita con teglie e vettovaglie, mamma calabra distribuisce i beni. Papà Calabro, come dimostrato dal materiale fotografico a corredo in alto, sgancia dal suo arsenale olive, ‘nduja e melanzane sott’olio, che spuntano fuori da un vero cestino da pic-nic, residuo degli anni ’80 e ripristinato per l’occasione, per dare un tocco di ruralità e informalità.
(Ma la tavola – ovvero la panchina – dei genitori calabri che devono impressionare con effetti speciali i consuoceri piemontesi, non può essere informale: deve ricreare il comfort di casa, dare le stesse sensazioni del pranzo classico. Per cui il cestino da pic-nic in pieno stile Famiglia Ingalls della Casa nella Prateria è solo puro artifizio).
A Tropea, come già il cielo lascia presagire sin dalle prime ore del mattino, c’è la Tempesta Perfetta. In cima a una rupe, famiglia calabra e famiglia piemontese assistono al disastro climatico, con sentimenti discordanti. I secondi, abituati al vento sferzante delle dune della Cornovaglia, aspettano il placarsi della furia dei venti. La famiglia calabra assiste col sopracciglio inarcato allo spettacolo del figliuolo minore, protetto da uno spesso strato di piume d’oca per proteggersi dai 15 gradi fin troppo crudeli, battuto dalla pioggia e dal gelo.
(In Calabria dieci gradi sono percepiti come i meno venti, dunque fa freddo. E se fa freddo ci si deve coprire. Mio fratello ha sei anni e indossa ancora il cappello e il piumino. A una temperatura per cui i corrispettivi torinesi, al primo raggio di sole, si butterebbero in Piazza Castello a bagnarsi all’acqua delle fontane)
La giornata si conclude con una cena a base di insalata – una violenza per la mamma calabra, che si ritrova a tostare del pane pur di non tenere la cucina a riposo troppo a lungo – e con baci e abbracci, ché alla fine se c’è una cosa vera della famiglia del Sud è che ti fa sentire a casa ovunque tu sia. Specialmente se sono davvero la tua casa.
UNA PICCOLA POSTILLA
Ve lo ricordate Franco Neri, quello che raccontava di epiche scampagnate con tanto di anguria messa a mollo nel ruscello, grigliate interminabili, matrimoni sfarzosi e parmigiane grondanti olio?
Ecco, ora dimenticatelo: Franco Neri lavorava su stereotipi, esagerava per far ridere e raccontava solo un pezzo della vita in una qualsiasi famiglia del Sud Italia.
Pur provenendo da una famiglia normale – poco numerosa, per niente dedita al culto del piccante e culturalmente variegata – capita che anche i miei genitori, e io stessa, diventiamo vittime di quello stereotipo diffuso per cui quelli del Sud mangiano sempre fritto e salame a colazione, hanno la porta sempre aperta per accogliere chiunque voglia avvicinarsi alla tavola (sempre imbandita), credono nelle superstizioni e hanno dei nonni che sganciano cinquantoni per “comprare il gelato“. Quello che racconto in Storie Calabre sono delle situazioni – sicuramente esagerate per ovvi motivi comici e stilistici che, credo, tutti comprenderete – che realmente mi hanno vista protagonista, me o la mia famiglia. Insomma, state alla larga dagli stereotipi e, se vi va, tuffatevi nel mondo genuino di chi, con ironia, vuole solo raccontare momenti belli o particolarmente divertenti di una famiglia.
L’abbiamo capito tutti che non hai raccontato tutto, non hai parlato die dolci e immagino ci siano stati, sicuramente.
Prima o poi organizzeremo uno scambio “Culturale” Puglia-Calabria…chissà come ne usciamo! 😉
@fra lo so come ne usciamo: rotolando!