Ad ottobre ero già in ansia. Elena ancora non distingueva il giorno dalla notte ma avevo già dovuto iscriverla al nido, in città va cosi, c’è una lista d’attesa pazzesca e devi sbrigarti. In pratica, sei ancora lì che cerchi di capire di che materiale è fatta la placenta senza vomitare e già pensi a dove smollarla. Ad ottobre quindi mi sentivo già in colpa preventiva, una madre snaturata, una madre che abbandona, una madre che preferisce tornare a lavoro anziché crescere la sua bambina.
A dicembre, tempo di bilanci e buoni propositi, tempo di anno nuovo, tempo di “E’ già capodanno, tra un po’ è Pasqua e dopodomani è Ferragosto“, ero in palla. Ero già in facoltativa e il mio rientro in ufficio fissato da mò. Elena già grande, si è messa l’indispensabile bavaglino “Il mio primo Natale” e ci ha vomitato sopra un nanosecondo dopo, ha imparato a mangiare col cucchiaio, e io dentro pensavo: tra un po’ la lascio.
A febbraio mancavano tipo due mesi al mio rientro ed ero in pappa. Mi sono addormentata ogni sera ripetendo al mio compagno che avrei sicuramente pianto un sacco.
La maternità in Italia ti impone dei ritmi assurdi col bambino – 24 h no stop, sempre insieme, e se sei senza aiuti consistenti ‘ste 24 ore pesano molto, durano il doppio – ti concentra tutto entro i primi 8 mesi, poi ti “costringe” a rientrare entro i 9 mesi di tuo figlio, a meno che tu non voglia prendertela scialla e aspettare l’anno, incrociando ferie, permessi, aspettativa, facoltativa, congedi, madonne e santi.
Il tempo mentre sei in maternità è dilatato. In pratica i primi 40 giorni del neonato non hai ancora capito ‘sta storia dell’aspiramuchi e sono già passati due mesi. Otto mesi passano in simbiosi – com’è giusto che sia – giorno e notte insieme, crei abitudini e riti, tuo figlio si abitua, tu ti abitui, e poi improvvisamente tutto finisce.
Il distacco è totale, a parte i 10 giorni d’inserimento al nido – se non si lascia a casa il bimbo con una tata o un parente prossimo, ovviamente – che servono più ai genitori che per i piccoli.
E quindi si passa dallo stare insieme sempre allo stare insieme quando finisci di lavorare. Non c’è qualcosa di sbagliato in questa frase? Non si capovolgono le priorità? Posto che mi piace lavorare e ho bisogno dello stipendio intero come tutti quelli che non sono parenti stretti di Gianluca Vacchi, e che comunque non sarei mai riuscita a fare la mamma a tempo pieno e basta, com’è possibile che il giorno prima sei a frullare carote e la tua vita ruota intorno a quello e il giorno dopo, dal nulla, vedi tuo figlio dalle 16 alle 21 se va bene, quando è al massimo del rincoglionimento post asilo, stanchissimo, rognoso e piagnucolante, col moccio perenne?
Comunque poi sono tornata a lavoro. Va tutto bene. Mia figlia è serena, la spio ogni tanto nell’area giochi quando non mi vede, è rilassata e saluta tutti, oggetti inanimati in primis, urla e fa Bababatadatata a manetta come quando è a casa, mangia dorme e non fa storiesi diverte. Quindi sono contenta anche io, perché quello che ho capito dell’essere mamma in questi otto mesi è che prima ero felice, adesso sono felice il doppio perché la mia serenità dipende da quella di Elena.
Rimane di base il distacco brutale che ci ha viste protagoniste, noi come un altro centinaio di migliaio di mamme in Italia che, ogni anno, quando rimangono incinte, sono già in crisi perché sanno che gestire quel figlio sarà difficile una volta tornate a regime, e io trovo che questa cosa non sia giusta, che devi essere in ansia per altre cose, tipo il colore della cacca, la crosta lattea, la marca di crema culetto e cose così.
Io ho fatto un figlio con consapevolezza, la consapevolezza che sarebbe stato a carico mio e di suo padre 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza nonni o aiuti sostanziosi, e se domani si ammala sono cazzi miei, e se l’asilo domani chiude sono cazzi miei, e per quanto vada tutto bene, trovo ancora difficile abituarmi all’idea di dover sfruttare il tempo che mi rimane dal resto per mia figlia.
Mia figlia si merita il mio tempo, non quello che rimane del mio tempo. Non riesco a venire a patti con questa cosa, che combatte con la mia ambizione e la mia voglia di fare e questo è quello che ho capito quando sono tornata a lavoro dopo il periodo lunghissimo, stancantissimo, pienissimo della mia prima maternità.
Quando sono stata mamma a tempo pieno per la prima volta, ed è stato bellissimo.
Giò, è dura.
E lo è anche per me che ho già scelto di “rinunciare” in parte al lavoro.
Sono qui che sto valutando di chiedere il part time (e sono fortunata perché so che me lo darebbero), in modo da poter stare più a casa con i bimbi. E’ stata dura all’inizio scegliere, poi mi sono fatta un’esame di coscienza.
Non sarò una donna in carriera, non parteciperò più a eventi stra cool, avrò per sempre dei capelli “Mafalda style”, ma sarò più felice e ci sarò di più per i miei figli.
Con l’adolescenza poi, quando mi odieranno a morte e non vorranno più vedermi, mi ributterò sul lavoro (o sull’uncinetto, poi vedo). Comunque ogni donna, se può scegliere ovviamente, deve fare ciò che la rende più felice. Anche se è più lontana da casa.
Una mamma felice rende felice anche i suoi bimbi (o almeno lo spero…)
@valentina: grazie vale <3