Mamma freelance, ovvero lavorare da casa con bambini intorno. La mia prima vera settimana in remote mum-working.
Il giorno più complicato è stato mercoledì, quando Elena ha deciso di svegliarsi piangendo, continuare la mattinata lagnandosi, arrivare a pranzo urlando, risvegliarsi dalla nanna facendo capricci inconsulti, pretendere di mangiare uva e prosciutto insieme a merenda, disconoscere il padre e gridargli dietro “Stai zitto” e “Via!” al suo ritorno dall’ufficio.
Quella mattina avevo elemosinato il babysitting di mia sorella perché i miei clienti erano tornati operativi, e non potevo proprio non farmi vedere reattiva, anche solo per rispondere alle mail tempestivamente. In più, alle 11, avevo una call.
A Torino non ho appoggi in coworking – e forse dovrei trovarne uno per le emergenze – e non esistono, se non in rare eccezioni, bar dove rinchiudersi un paio d’ore con wifi potente e un centrifugato pesche e melone. Uscire di casa, perdere tempo a cercare questa chimera e rischiare di non avere la connessione era fuori discussione. Così mi sono chiusa in camera da letto a lavorare e ho fatto la call con il mio cliente con Elena che, sentita la mia voce, si è accorta della mia presenza tra una torta al pongo e una Barbie denudata e maltrattata e si è messa a raschiare alla mia porta come i cagnolini, urlando come se la stessero scannando “Apriiiii mammmmaaaa!! Apriiii!!”. Io e il mio cliente ci siamo fatti una risata, ma ho chiuso la call in fretta e furia per evitare una sincope alla mia unica figlia.
Questo era il giorno più complicato, mercoledì. La settimana di lavoro con bambino al seguito non è ancora finita: mentre scrivo sento la spada di Damocle sul collo e una voce che mi ripete “Il nido chiude alle 12, sbrigati. Il nido chiude alle 12, sbrigati“.
Amo mia figlia e sono tornata a fare la freelance mollando il mio lavoro in agenzia per starle dietro, ma questi dieci giorni di lavoro con lei iperattiva intorno mi hanno dato la prova che non sono indistruttibile. La me Eroina Multitasking del 2013 è crollata sotto il peso della maternità: sono venuta a patti che non posso fare cento cose contemporaneamente, tanto più se sono cose molto operative (scrivere, pianificare, rispondere a mail e telefonate).
Così ho deciso che, con l’aiuto dei parenti prossimi (un nonno, una zia, il papà), avrei lavorato 2 ore al giorno tutti i giorni, e in quelle due ore avrei dovuto fare il botto; a patto che Elena non ci fosse, naturalmente.
Mentre c’era, e io dovevo fare cose, mi sono arrangiata. Ho fatto solo quello che riuscivo: tipo scrivere copy sugli outfit di Venezia mentre davo da mangiare delle finte pannocchie ad Anna (bambola preferita di Elena, sempre nuda e maltrattata ma molto amata) o altri sulla presunta gravidanza della Ferragni mentre con l’altra mano disegnavo tutta la famiglia sulla lavagnetta magnetica.
Durante la nanna di Elena ho racimolato un altro po’ di tempo, un’oretta circa, in cui però ho gestito la contabilità di fine mese, emesso fatture, sistemato gli scontrini: anche questo è lavoro, per un freelance (un lavoro di cui, per altro, non capisco molto, facendo il triplo della fatica).
Dalle 16.30 in poi anche a regime pieno io e Elena non ci siamo per nessuno. Questo è il compromesso che voglio mantenere sempre, nonostante i lavori, nonostante i clienti, nonostante le scadenze. Sono dieci anni che lavoro, saprò organizzarmi: organizzarmi vuol dire chiudere tutto entro le 16.30 e fare cose con lei.
Se non ce la faccio a chiudere, lavoro di sera, ma se lavoro di sera la colpa sarà solo mia, perché avrò preso per golosità più lavoro di quello che posso gestire.
Anche essere obiettiva e onesta con me stessa è un lavoro a ciclo continuo, non impegnativo come fare pizze col pongo o guardare strani video su Youtube in cui mani ignote scartano ovetti Kinder, ma pur sempre un lavoro.
Di questa settimana impegnata a destreggiarmi tra il mio essere mamma e il mio essere una professionista ho imparato una cosa: entrambe le cose meritano la mia attenzione completa e solo in certi casi riesco a farle contemporaneamente.
In altri devo mollare la presa, fare una cosa sola al meglio delle mie possibilità e rinunciare per un momento alla perfezione. E andrà bene così.
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