Questa è una lunga storia antica, una storia di tutti. Se non la racconto andrà perduta.
Le lettere del bisnonno Bruno hanno superato indenni la guerra, i bombardamenti, il tempo, l’asprezza degli anni passate in un cassetto. Me le immagino a viaggiare, nel 1940, per mari e monti, di mano in mano, vagare per le trincee, superare gli Appennini e piombare in casa della nonna, in un borgo piccolo della Calabria dove si mangiava pane nero e povertà, come in qualsiasi altro luogo del mondo, a quei tempi. Adesso riposano sul mio comodino, in buste di plastica trasparenti per proteggerle da quest’aria nuova, dal gelo, dallo smog, dopo un viaggio di 1200 chilometri da casa di mia madre. Quanta fatica per dei fogli di carta ingialliti.
Di lui mi raccontava sua moglie, la bisnonna Maria. Me la ricordo sempre vestita di nero, in quel lutto perenne che solo le donne del Sud sanno autoinfliggersi. A ricordo perpetuo, aveva una foto del marito su una mensola di marmo, illuminata da cerini destinati a spegnersi in un giorno lontano. Sembrava Amedeo Nazzari, il bisnonno Bruno, quando in Tormento fa la serenata alla sua povera donna in prigione con gli occhi vivi e la voce melodiosa.
Un giorno del 1944 la bisnonna ha ricevuto una lettera battuta a macchina in risposta a una sua richiesta: che fine hanno fatto le lettere in bella calligrafia di mio marito? Quelle in cui mi chiama Cara Sposa, e indaga su come sto, su come tiro avanti in questa terra aspra, su come sta la figlia che non ha mai visto? Da quando ha avuto la sua risposta, è rimasta così: vestita di nero, con la crocchia in testa, a mantenere una figlia che non aveva mai conosciuto il padre e tutti i suoi nipoti, con una pensione di vedova di guerra che non avrebbe mai voluto, a guardare dei cerini a eterna memoria illuminare la faccia di un bell’uomo moro.
Nonno Bruno è morto nel naufragio del piroscafo Oria. Un naufragio meno romantico del Titanic, ma più sconvolgente ancora. In quella traversata folle da Rodi al Pireo sono morti 4.000 soldati italiani prigionieri dei tedeschi. Nonno Bruno era tra di loro e il suo nome è adesso l’anello di catena della lista infinita di morti che la guerra ha fatto. L’ho ritrovato io, anni dopo su Internet, il suo nome in quella lista, ricostruendo le ultime ore del nonno e dei suoi 3.999 compagni.
Nonna Maria ha portato avanti una famiglia in anni complicati per le donne. Ha cresciuto una figlia da sola e non ne ha mai voluti altri, da nessuno. Tre generazioni tra figli, nipoti e pronipoti hanno chiacchierato con lei, subìto i suoi ammonimenti, portato alla tasca i soldi “per il gelato” passati di nascosto, le hanno sistemato la mantellina di lana nera che portava sempre in spalla “per il freddo alle ossa”.
Con una vecchia macchina da scrivere, a 12 anni, ho trovato la mia prima ispirazione per un libro che non ho mai scritto. Era la sua storia. Me la immaginavo sola, nella casa che ha visto crescere anche me bambina, piena di scale ripide di legno e pietra, una stanza per piano, come si faceva una volta, arrovellarsi sui soldi, e sui pericoli per la figlia senza padre, pregare i suoi santi e martiri, a rigirarsi la lettera che annunciava la sua vedovanza tra le mani. Solo chi scrive sa quanto è bello sentire in testa l’entusiasmo di una nuova storia, anche se poi non esce fuori niente. “Scoccava la mezzanotte in quel paese buio” iniziava “e Maria se ne stava a guardare gli altri dormire da quella finestrella”. Così cominciava la storia che non ho mai scritto, ma che ho in testa da allora.
Le terrò da parte per mia figlia, queste lettere: una bambina che spero non vedrà mai la guerra, che ne sentirà parlare da chi non l’ha vissuta e che, forse, tra molto tempo, sfoglierà quelle carte vecchie di ormai cent’anni. Di questa storia antica come tante sono io la voce: non me lo voglio dimenticare.
E’ la storia di tutti, quella di Nonno Bruno e Nonna Maria, eppure tra poco ce ne dimenticheremo. Le generazioni che ricordano ancora queste storie antiche sono morte, o moriranno presto. Noi siamo i nipoti che non ascoltano le storie dei nonni quando possono, così presi da altro: le ritrovano per caso, anni e anni dopo, e si struggono per non averle sentite.
Donata Cevolani says
E brava Giovanna condivido il tuo scritto con emozione scusa se il mio esprimere sarà povero nel mio comunicare ( 5 elementare) ho notato la calligrafia del lettere le noto uguali a quelle di mia mamma e di mio zio anche lui scomparso nel naufragio Oria .spero tua figlia assomigli a te nei sentimenti e conservi tutto cio che tu hai gelosamente custodito e chissà che in futuro prenda corpo un libro o un Film.che donna nonna Maria e pensare che oggi noi donne non siamo mai soddisfatte pur avendo tutto .ciao un abbraccio