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Se c’è un genio nel regno della cinematografia, quello è Danny Boyle, insieme a pochi altri.
Danny Boyle. “Quello di Trainspotting“, dicono di lui le voci nazional-popolari. “Quello di The Beach“, dicono i malevoli che vogliono ricordare il flop. “Quello di The Millionaire“, lo idolatrano i fan. Boyle è molto di più: è uno che adora la macchina da presa, uno che osa.
127 Hours, presentato in anteprima al Torino Film Festival, è uno di quei film che vale la pena di guardare anche se per raggiungere la poltrona è necessaria una bella sgomitata. La sala gremita del cinema dice molte cose sull’attesa post-Premio Oscar: la première di domenica 28 Novembre, d’altronde, anticipa di gran lunga l’uscita nelle sale prevista per Marzo 2011.
Meglio anticipare che le atmosfere del film ricordano moltissimo quelle di Into The wild di Sean Penn, altro capolavoro di genere a cui è difficile trovare una collocazione cinematografica sicura. Quella di Aaron Ralston è una storia vera, proprio come vera è la vicenda di Christopher McCandless. Entrambi amano la natura, tanto da lasciarsi andare senza paura ai suoi tranelli. Entrambi rischiano la pelle (McCandless ci rimette anche tutto il resto).
Ancora una volta è la terra selvaggia a fare da protagonista in una pellicola che mette in scena sia la storia di Ralston, intrappolato per 127 ore in una gola del deserto roccioso dello Utah, sia la pura, spettacolare passione per il cinema. Il montaggio, forsennato, veloce, scattante quasi come la colonna sonora, regala momenti di intensa gioia cinematografica. I fotogrammi sembrano far parte di un videoclip musicale, ma di quelli fatti come Dio comanda, e accompagnano ogni singola nota verso l’epilogo, 90 minuti dopo l’inizio dell’avventura.
Lo spettatore segue con passione le vicende di Ralston, interpretata da James Franco, visto recentemente in Eat, pray, love con Julia Roberts. Proprio come Emile Hirsch in Into The wild, il film è affidato agli occhi e alla potenza scenica di questo ragazzone californiano in perenne ascesa, dopo Milk dello stesso Penn. James Franco ce la fa a portare a termine il suo compito e a sostenere l’imponente allestimento scenico che gli sta intorno. Con il braccio intrappolato per cinque giorni, senza acqua, senza cibo, senza speranze, Ralston, che oggi è vivo, vegeto e famoso suo malgrado grazie al drammatico episodio che lo ha visto come protagonista, piace. Piace perché è brioso, piace perché non perde la voglia di vivere, piace perché è in linea, evidentemente, con la volontà del regista che lo guida. E’ un personaggio un po’ rock, duro, solo, che però non ha paura di ammettere i suoi errori.
Wikipedia anticipa la scena che, presumibilmente, ogni spettatore preventiva sin dai primi minuti del film: cosa se ne fa Ralston del braccio che lo intrappola? La scena è un po’ cruda, meglio guardare un punto fisso all’orizzonte con nonchalance, senza mai sfiorare lo schermo, se non si ha lo stomaco forte. Ma anche in quei momenti gioisci per Aaron, per questo ragazzo sprezzante del pericolo che non sa che farsene di un telefono per avvisare la famiglia dei suoi spostamenti, che ama le scorciatoie strette e difficili, e l’alba.
Marzo 2011 è ancora lontano. L’unico consiglio è, se possibile, di guardare il film in inglese. I dialoghi non sono molti, ma vale la pena sentirli pronunciare – come per la maggior parte delle volte, d’altronde – in lingua.
La fotografia, maestosa e potente, completa questo quadro già di suo forte grazie alla recitazione e alla regia.
[…] This post was mentioned on Twitter by Giovanna Gallo, Gilda G.. Gilda G. said: RT @Gioska23: #dannyboyle #127hours #tff28 Recensione esclusiva di 127 Hours di Boyle, visto oggi. In antemprima! http://bit.ly/fhT9TO #cine […]