Dalla busta paga alla libera professione senza ansie, ma con senso: la mia storia.
La mia è una storia professionale un po’ atipica: sono nata freelance nel 2011, in anni vuoti di concorrenza nel settore digitale. Vendevo servizi e consulenza, contenuti e formazione. Sono andata avanti tre anni un po’ random, perché ero giovane, il lavoro arrivava da solo e mi ero seduta sul passaparola.
Non avevo un tariffario, un business plan, un target di clienti a cui rivolgermi, una linea di comunicazione che li colpisse, non avevo un piano di marketing per promuovere i miei lavori, non avevo fatto una previsione a breve e lungo termine per capire se stesse andando bene o no. L’unica cosa che avevo addosso era l’ansia: per la commercialista che non mi stava dietro, le tasse da pagare, un passaggio troppo frettoloso dal regime dei minimi a quello semplificato. Avevo dimenticato cosa volesse dire lavorare anche perché è un piacere.
Nel 2013 ho ricevuto una proposta di assunzione in agenzia e ci sono rimasta tre anni, uno dei quali passato in maternità. Essere una mamma ha cambiato totalmente la mia visione delle cose, semplicemente perché ha messo in chiaro quello che pensavo già: non potrei non lavorare, ma non voglio neanche dedicare alle cose veramente importanti solo i ritagli del mio tempo. Così ho deciso di diventare una mamma freelance cercando di non cadere negli errori del passato, facendone comunque di nuovi (e alcuni ve li ho raccontati qui), partendo un po’ prevenuta nei confronti della mia ansia. In pratica l’ho messa in stand by per un po’, cercando di trovare dei modi adeguati per zittirla alla radice.
Sono partita da quattro certezze:
1 il primo anno dovevo guadagnare circa la stessa cifra che vedevo al netto in busta paga quando ero dipendente
2 dovevo investire il mio tempo in qualcosa per cui ne valesse davvero la pena e impostare servizi precisi
3 dovevo riuscire a mantenere libere da attività operative la fascia oraria 16- 19 per poter recuperare Elena al nido, godermi un paio d’ore con lei e poi eventualmente riprendere a lavorare (sennò il licenziamento a che pro?)
4 (non ultimo) dovevo trovare un buon commercialista
Il 24 marzo 2018 ho raccontato durante il Freelance Day di Torino proprio il passaggio da dipendente a freelance partendo da questi quattro punti e spiegando come mi ero regolata per mantenerli tutti saldi.
Qui vi faccio un piccolo sunto soprattutto del primo, sperando possa esservi utile se state pensando di fare questo salto, ma siete paralizzati dalla paura di fare una cosa stupida o senza senso o azzardata. Prima che lo diventi davvero, bastano due o tre riflessioni fatte a tavolino con voi stessi: io non credo nel mantra “Puoi essere ciò che vuoi” e non sono certa che l’istinto possa essere l’unico motore di un’idea imprenditoriale, ma sono convinta del fatto che per essere ciò che vogliamo dobbiamo mettere ciò che abbiamo a disposizione sul tavolo e capire dove ci porta.
DA DIPENDENTE A FREELANCE: DALLA BUSTA PAGA ALLA LIBERA PROFESSIONE A ZERO ANSIE
Punto primo: una formula non c’è. Io vendo servizi, in particolare contenuti digital, non oggetti tangibili; la mia prima volta da freelance pensavo che per lavorare bastasse un pc e una connessione internet, un personal branding sensato, competenza. Non bastano: servono dei prezzi, dei servizi, dei clienti target. Mentre ero ancora assunta in agenzia – quindi con la copertura dello stipendio – mi sono messa a leggere come si fa un business plan (molto utile il libro di Francesca Marano) e a guardare i competitor nati mentre io vivevo la mia esperienza da dipendente, uscendo completamente dal giro. In pratica il mio percorso mentale, prima di dare le dimissioni ufficialmente, è stato più o meno quello che vi indico di seguito. Buona lettura!
RIFLESSIONI PRIMA DELLE DIMISSIONI
– devo guadagnare circa 1.400 euro al mese netti per riuscire a pagare il nido e le spese familiari vive, perché con un solo stipendio (quello del mio compagno, dipendente) non ce la facciamo. Più che ai lussi, ho pensato al necessario e sotto quella cifra non potevo andare.
– per guadagnare 1.400 euro al mese con la Partita Iva Semplificata devo fissare un tariffario, alzare un po’ i prezzi e poi dimezzare tutto. La somma di tutti quei 50% in fattura deve diventare il mio stipendio mensile.
– per avere uno stipendio mensile, sicuro e fisso, devo trovare una formula di servizio a lungo termine, su base semestrale e annuale.
– per trovare una formula di servizio a lungo termine devo individuare un target di cliente che possa pagarmi a emissione fattura, max a 30 giorni. Ho quindi focalizzato l’attenzione su agenzie di comunicazione e brand grossi o in crescita con budget da investire in attività di comunicazione digitale.
– ho ripreso i contatti con due vecchi clienti e sfruttato il passaparola virtuoso per trovarne di nuovi.
– per non intasare la giornata e riuscire a gestire mia figlia ho deciso di prendere solo 4 clienti: un’agenzia (con impegno settimanale del 50% sul totale delle ore lavorative disponibili) e tre aziende, sempre su base annuale…
– … quindi ho deciso di non strafare, eliminando la mia prima fonte di ansia (ovvero ho deciso di passare dal “Non ho clienti!” al “Ho i clienti giusti“)
– Ho eliminato i clienti piccoli, le micro-consulenze e, come compromesso, ho accettato solo un lavoro sotto-pagato e molto impegnativo perché, a lungo termine, mi avrebbe portato una collaborazione a cui ambivo molto.
– Ho buttato giù una sitemap del mio sito e pagato due professionisti per rifarlo da zero: un web developer e una grafica. Ho coinvolto un fotografo per farmi scattare nuove foto.
– Ho buttato giù un piano editoriale per il mio blog e sistemato Linkedin: in particolare ho rimesso mano al summary, al job title, alle esperienze e cominciato a sfruttare lo spazio editoriale Pulse per parlare dei servizi che avrei voluto vendere e creare autorevolezza intorno al mio nome.
– Ho anche attivato Linkedin Premium per un mese, per ampliare il mio network in modo più facile e immediato
– Ho acceso la funzionalità di Linkedin che dice ai recruiter che sei disponibile. Di solito è flaggata sul no di default, qui vi dico come attivarla.
UN SECONDO PRIMA DI DIMETTERMI
– Ho firmato due contratti con quelli che sarebbero stati miei clienti per tutto il 2017
– Ho sistemato tutti i testi del mio sito, aggiungendo delle sales page, rivedendo la pagina Chi sono
– Ho trovato un buon commercialista: giovane, aggiornato, reattivo alle mie email, capace di consigliarmi. L’ho trovato chiedendo a colleghi del settore (in particolare a Michela Calculli, professionista digital che mi ha consigliato Vittorio, da cui sto mandando metà Torino tanto è bravo).
– Il buon commercialista mi ha detto che avrei potuto riaprire il Regime dei Minimi oppure no: io ero terrorizzata dal Regime Semplificato per via della pressione fiscale, lui mi ha rassicurato e mi ha detto che per crescere un po’ i Minimi non avevano senso. Quindi sono partita in quarta con il regime più adatto a me, ben consigliata.
– Ho deciso di versare l’IVA ogni mese: così me la tolgo dalle scatole immediatamente e a giugno e novembre mi dedico solo a Irpef, Inps e compagnia bella, che già da pensare mi danno parecchio.
DOPO LE DIMISSIONI
– Ho usato il TFR e l’ultimo stipendio come entrata per i primi mesi, quando non avevo ancora nulla da fatturare; ho messo da parte una piccola cifra in esubero quando ho cominciato a incassare (per i tempi bui)
– Mi sono dimessa il 14 gennaio 2017, a fine gennaio ero già operativa con 2 clienti su 4.
– A ogni incasso ho sempre tolto il 50%. Senza eccezioni, senza scuse. Se in difficoltà, ho dato fondo alla cifra del TFR messa da parte agli inizi.
– Ho cercato di non strafare accettando lavori solo per l’ansia di non guadagnare abbastanza: il mio tempo lavorativo per scelta era limitato alla fascia 8.30 – 16 e facendo cose molto operative non ne avrei avuto abbastanza per gestire con senno tutti i clienti.
– Ho capito che meno tempo hai più fai, perché ti sale su l’ansia buona del dover finire una cosa a tutti i costi: ti aiuta ad ottimizzare il tempo più della tecnica del pomodoro.
COME APRIRE PARTITA IVA DOPO ESSERE STATO DIPENDENTE: UNA STRATEGIA IN 5 PAROLE
Il percorso mentale prima, durante e dopo le dimissioni che vi ho raccontato sopra può essere riassunto in 5 parole, in definitiva:
– Calcoli: ho fatto due conti per fissare degli obiettivi facilmente raggiungibili. Possono essere calcoli economici o obiettivi psicologici, l’importante è sedersi e buttarli giù, anche mentalmente.
– Ottimizzazione del tempo: ho semplicemente messo sul piatto le ore in cui potevo essere operativa e offerto ai clienti solo quello
– Esperti: dal commercialista al webmaster, dal fotografo al grafico. Gli esperti che possono aiutarvi a fare il salto che avete in mente sono professionisti: sono quello che volete diventare voi, con dei servizi e un tariffario già attivi. Prevedere un investimento per questo genere di attività in fase di avvio è fondamentale.
– Lungimiranza: serve un pizzico di esperienza per imparare a conoscere i clienti e cosa ti possono portare a lungo termine. A volte niente, a volte un sacco, si impara sbagliando.
– Saving Budget: può essere un pezzo del TFR come ho fatto io, l’ultimo stipendio da dipendente, l’eredità di un parente ricco (se siete fortunati). Se potete, centellinate. Non sempre si riesce, quando si può, è necessario. Un mantra anche quando si comincia ad incassare, per non arrivare a giugno dell’anno dopo senza un soldo per le tasse.
Sul tema mi ha intervistata Vanity Fair: qui potete leggerla insieme a un po’ di consigli per farcela. Senza ansie.
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