Ezio (Fabio de Luigi) è uno scrittore, uno che “inventa storie che poi gli altri raccontano“. Vive di rendita (grazie alla pallina per lavatrice inventata dal babbo lungimirante che ancora frutta Euro) in un loft industrial chic con il suo cane Gianni, abbandonato dalla donna, dagli amici, apparentemente solo con il suo pc. Vuole scrivere una storia, quella di una famiglia, forse di due. Dalla sua mente vengono fuori Marta, sedicenne darkettona, e Filippo, saccente e intellettuale, che stanno insieme e hanno deciso di sposarsi. L’occasione per dare l’annuncio è una cena in cui vengono chiamate a rapporto le due famiglie d’appartenenza, quella di Filippo rigida e borghese, quella di Marta caciarona e goliardica. Ci sono un’indefinita mamma e un generico papà (Carla Signoris e Diego Abatantuono) che si sollazzano, dimentichi di obblighi e regole, tra marjuana, viaggi intorno al mondo e sbevazzate. E c’è Margherita con Vincenzo (Margherita Buy e Fabrizio Bentivoglio), coppia senza stimoli, senza amore, senza passione, senza confidenza, tanto che, vittima di un male forse incurabile, Vincenzo finirà per non dire nulla alla sua famiglia. E infine c’è Caterina (Valeria Bilello), repressa, bellissima, talentuosa e ossessionata ventisettenne, figlia di Vincenzo e del suo male più irrefrenabile, l’insicurezza. A completare il quadro dei “sei personaggi” con autore, come è stato soprannominato questo menàge molto pirandelliano, una nonna minata dall’Alzheimer, ma con tanta voglia di fare (e cucinare).
I personaggi di Happy Family di Gabriele Salvatores, da venerdì scorso nelle sale, nato dalla penna di Alessandro Genovesi, parlano con il pubblico, attraverso il meccanismo dello sguardo in camera, che crea, sin dagli albori del cinema, connessione magiche e intime con lo spettatore. Si presentano, si ribellano al copione di Ezio, vogliono capire come andrà a finire (Vincenzo si chiede se morirà, Margherita se il suo matrimonio rimarrà senza amore, Caterina se troverà mai l’uomo giusto, i due ragazzi se si sposeranno). Ezio racconta, sulla scia delle note di un vecchio disco di Simon e Garfunkel, delle vite che si intrecciano, in un modo o nell’altro, con la sua: lo vedremo alla stessa tavola dei sei personaggi da lui creati, arroventarsi per Caterina, giostrarsi tra le battute di un papà/Abatantuono che regala le stesse perle di quindici anni fa e che ancora adesso rimane ugualmente giusto, essenziale per il ruolo, e la malinconia di Vincenzo/Bentivoglio, che con quell’espressione corrucciata che Madre Natura gli ha regalato non potrebbe mai farsi rappresentante di un sentimento che esuli dalla serena rassegnazione.
Nell’autocitazionismo (Bentivoglio e Abatantuono, si ritrovano dopo Marrakesh Express del 1989 e si fiutano, si riconoscono fratelli in Happy Family e indispensabili compagni di un viaggio liberatorio, proprio come allora) e il citazionismo della pellicola di Gabriele Salvatores ( Wes Anderson, tra tutti), c’è un esercizio puramente cinematografico, fatto di inquadrature classiche, di un montaggio accurato, di uno stile essenziale. Lo si riconosce nella sequenza che, sulle note di Chopin regalate dalle mani di Caterina, inquadra una Milano magica, misteriosa e bellissima. Applausi alla fotografia e alla regia prima di tutto, senza dimenticare gli attori. Margherita Buy rimane la mamma sfigata di tutte le sue pellicole, con gli occhioni tristi e spalancati a chiedersi “Perché proprio a me“, ma deliziosa nella sua svagatezza. Carla Signoris regge bene lo stereotipo di mamma svampita e un po’ triste e resta senza un nome, perché rappresentante di uno stuolo di donne che non hanno bisogno di essere identificate per esistere. Valeria Bilello, ex vj, ora attrice, mantiene alta la linea della sua Caterina, che si rivelerà l’unico personaggio reale e concreto di tutta la vicenda. E infine lui, Ezio, un Fabio de Luigi che non smentisce la sua bravura e il suo talento di istrionico mattatore, lontano dal demenziale e dal facile umorismo.
Un bel film, da godersi anche senza aver seguito un corso di istituzioni di cinematografia, di cui il burattinaio Gabriele Salvatores sarebbe, in ogni caso, un ottimo insegnante.
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